Uguaglianza e diseguaglianza

Le regole del gioco socialista

Giada Farrah Fowler
I BAMBINI DI GOLZOW

--

È difficile non riconoscere la positività della demolizione sistematica dei privilegi di educazione borghese e l’opera costante di rimozione delle disparità di genere operate dalla RDT.

L’avvicinamento tra classi e strati sociali rappresentava, almeno nominalmente, uno dei massimi obiettivi politici, in cui il perseguimento dell’eguaglianza distributiva si esprimeva in un effettivo livellamento dei redditi ed in un sistema scolastico e formativo concepito come uno dei più egualitari mai conosciuti.

Il modello di divisione del lavoro è quello di una società diffusamente
industrializzata, in cui allo sviluppo post-industriale tipico delle società occidentali corrispondono burocratizzazione e sviluppo dei servizi sociali, e in cui non può esistere disoccupazione.

L’indagine longitudinale relativa a “Percorsi di vita e cambiamento sociale”, condotta attraverso la somministrazione di un questionario strutturato a un campione di 2.400 cittadini della ex-DDR, uomini e donne appartenenti a 4 coorti di nascita collocate tra il 1929 ed il 1961, riporta dati molto interessanti che permettono di ricostruire la storia scolastico-formativa e lavorativa degli intervistati, dei loro genitori, dei partners e in una certa misura anche dei fratelli e dei figli.

La nascita dei soggetti appartenenti alla I coorte corrisponde all’esplosione della crisi economica tedesca degli anni 1929-30; nel marzo 1930 con la caduta del governo, ha fine la repubblica parlamentare. Nel 1932 Hitler vince le elezioni e un anno dopo diviene cancelliere. L’infanzia, la socializzazione primaria, la scolarizzazione degli appartenenti a questa generazione, sono condizionate dagli anni del nazionalsocialismo e del conflitto mondiale: solo i soggetti di questa coorte vengono valutati sulla base di condizioni sociali precedenti alla nascita della DDR. Anche la II coorte (nati nel 1939-41) è distante dalla “generazione di Golzow”; più vicini sono invece i rappresentanti della III e IV coorte (nati nel 1951-53 e nel 1959-61).

Nell’indagine vengono registrati i tipi di scuola frequentati, il corrispondente periodo di frequenza, i titoli scolastici raggiunti, eventuali interruzioni degli studi (in quale periodo e per quali motivi), le decisioni prese durante la frequenza scolastica riguardo la futura formazione professionale, le rappresentazioni e i desideri in merito alla futura attività lavorativa.
Nella sezione relativa alla formazione professionale si trovano informazioni sul tipo, la durata e il luogo della formazione, le modalità di ottenimento del posto e le valutazioni che hanno portato alla scelta del tipo di formazione.
Per quanto riguarda la storia lavorativa, si registrano la prima e le successive classificazioni professionali, il tipo di attività svolta, la qualificazione richiesta, il nome, la dimensione, la forma giuridica dell’azienda, il settore economico, il tipo di regolamentazione del tempo di lavoro, il numero di ore lavorative settimanali, il reddito netto mensile, le modalità di ottenimento del posto di lavoro, le motivazioni alla base di eventuali cambiamenti o della sospensione dell’attività.

Facendo riferimento al momento dell’unificazione monetaria delle due Germanie, gli intervistati rispondono inoltre a domande sulle trasformazioni delle loro condizioni lavorative (possibilità di carriera, rischio di licenziamento, monotonia del lavoro, stress, rapporto con i superiori, con i colleghi…) e vengono registrate valutazioni soggettive sulle opportunità di ottenere un nuovo lavoro nel caso di un ipotetico licenziamento. Ai soggetti che risultano essere disoccupati vengono chieste
le cause del loro stato, una valutazione sulle difficoltà di ottenimento di un nuovo posto, i cambiamenti che tale situazione ha apportato alle loro relazioni sociali, alla vita familiare, al proprio stato psicologico.
Un’estesa sezione del questionario è dedicata alla storia abitativa degli intervistati; sono previste domande specifiche anche per chi ha intrapreso corsi di riqualificazione, per i pensionati, i pre-pensionati.
Le sezioni residuali sono dedicate alle relazioni sociali, alla partecipazione ad organizzazioni politiche, sindacali o religiose, ai viaggi ed alle prospettive future.

Nonostante non sia possibile in questa sede commentare l’intero lavoro, vale la pena soffermarsi su alcuni aspetti significativi.

La DDR non può essere considerata una società totalmente livellata, senza classi, un’amalgama indifferenziata: questa è la versione fornita da chi ha cercato di legittimare il real-socialismo come superamento del capitalismo, svuotando di senso il concetto di stratificazione sociale e riducendo lo schema di divisione in classi a uno schema descrittivo di divisione funzionale del lavoro, tanto più che ad esso non era collegato alcun criterio di distribuzione differenziata di risorse ed opportunità.

Le diverse forme di proprietà dei mezzi di produzione permettono comunque l’identificazione di tre classi: lavoratrice, contadina e autonoma.
Un’ulteriore separazione emerge all’interno della classe lavoratrice, se non per il diverso potere di disposizione, almeno per un diverso livello di formazione.

Artur Meier descrive la DDR come società di “stati” (Ständegesellschaft) caratterizzata da un sistema sociale ordinato gerarchicamente, da un sistema economico neo-patriarcale e corporativistico, e da comportamenti organizzativi quali nepotismo, clientelismo e servilismo.
Identifica quattro grandi Stände:
- lo stato dominante della nomenclatura;
- lo stato burocratico dei funzionari di livello medio-basso;
- una specie di stato medio della Intelligenz e di altri professionisti;
- quello di operai, impiegati e contadini.
Questa visione sembra collocare il tutto lungo un continuum graduato, anziché rispecchiare una polarizzazione tra massa ed élite, rappresentazione data invece da Detlev Pollack, il quale fa notare che la direzione della SED “orientava l’intera società come una propria organizzazione” e trattava

“i settori della società come sotto-sistemi, i cittadini come suoi membri, le loro azioni come decisioni. Di ogni evento, di ogni azione, anche delle più innocue, veniva verificata l’eventuale conformità o non conformità rispetto al programma del socialismo, alla struttura sociale socialista e ai rappresentanti-guida del sistema”.

Pollack sostiene quindi che — assieme ai tipici processi di differenziazione delle società altamente industrializzate — agissero processi di de-differenziazione politicamente indotti che riducevano l’autonomia di interi settori sociali, e stavano per questo all’origine di una mentalità piccolo-borghese che egli definisce delle “nicchie sociali” (Nischenmentalität).

Ancora più esplicito, Erhart Neubert afferma:

Nella DDR non esistono più classi che possano sviluppare i propri conflitti. Classi e strati sono in DDR de-tradizionalizzati e livellati. Alla socializzazione corrisponde oggi [nel gen. 1990] una individualizzazione, che elimina milieus, classi e culture stratificate e qualsiasi identità specifica. Come entità sociologica la classe lavoratrice nella DDR non esiste da parecchio tempo.

Quindi, la vera regola del gioco socialista stava nella palese diseguaglianza di potere.
Se è vero da un lato che i redditi, le condizioni materiali e gli stili di vita (condizioni abitative, garanzie di assistenza ecc.) erano livellati, il peso specifico di ognuno dei suoi abitanti li portava a galleggiare in modi molto differenti.

La diseguaglianza politica di potere veniva in qualche modo tamponata socialmente, la mancanza di autorità, la “situazione di oggetto” in relazione alla partecipazione alla determinazione di obiettivi centrali di politica sociale veniva in parte compensata nella misura in cui i contenuti (l’evitare la disoccupazione e l’emarginazione sociale) venivano ampiamente condivisi. Inoltre, ai livelli inferiori della gerarchia, soprattutto nelle zone di contatto tra lavoratori e dirigenti delle aziende industriali, il “potere” non veniva assolutamente esercitato in maniera “autoritaria” ed erano possibili coscienza passiva (sicurezza del posto di lavoro), informale agire d’interesse (“patti di raggiungimento di piano” tra dirigenti e sottoposti).

Ancora Frank Adler:

A tal fine erano irrinunciabili il collegarsi ad interessi sociali reali, l’evitare o il sedare il potenziale di conflitto sociale attraverso la livellante strumentalizzazione del valore di uguaglianza sociale e la statalizzazione dei rischi individuali attraverso un’amministrazione assistenziale e tutelativa della sicurezza sociale.

Il tutto a garanzia della riproduzione del modello, a protezione dell’efficienza della macchina economica statale e a tutela della centralità del Partito. Che poi un sistema non sia in grado di riprodursi o che le logiche di riproduzione comportino crisi o danni sociali anche rilevanti, questo è un altro discorso, valido nell’ex Germania dell’Est così come nell’occidente capitalista.

Una classe dirigente “forte” al vertice, costituita da alti funzionari del Partito e dello Stato, che usa ogni mezzo a sua disposizione per controllare gli accessi al fine di garantire la propria riproduzione omofila.
Una classe diligente, la classe lavoratrice, alla base del sistema.
Una classe intelligente, di professionisti e semi-professionisti, esclusa dal potere assoluto dell’élite, ma con mezzi che la classe lavoratrice non possedeva: probabilmente la classe più demotivata a riprodurre l’ordine esistente, poiché portatrice di uno status più difficilmente “ereditabile” dai propri figli.

Non a caso furono i membri della componente più “debole” di questa classe di servizio, i tecnici diplomati, ad essere protagonisti della migrazione di massa degli anni ‘80, nel fenomeno denominato dell’Exit, possibile alternativa individualista ad un’azione usurpativa di classe rivolta contro la classe dirigente.

Un numero crescente di persone dinamiche e disposte alla mobilità percepivano la società della DDR letteralmente come ostacolo all’ascesa sociale: l’Exit divenne per loro una difficile, ma comunque l’unica attrattiva via di mobilità.

Se un’indagine standardizzata può fornirci delle istantanee molto importanti ed anche estremamente accurate, solo attraverso l’esperienza, il vissuto, il senso attribuito da coloro che ne hanno fatto parte è possibile ricomporre il “puzzle DDR”.

Come non pensare, ad esempio, che uno dei limiti del socialismo reale potesse essere per i suoi abitanti anche il fatto di non potersi vestire in un certo modo, o di non possedere un frigorifero grande a sufficienza? Se consideriamo che praticamente tutto il pianeta è oggi inglobato nel mercato capitalista, si deve pur riconoscere che sono non sono poche le persone a cui il modo di produzione capitalistico non garantisce questo genere di “comodità”. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per la questione democratica e delle libertà individuali: saranno state molte le conquiste, ma una grande fetta della popolazione mondiale vive nell’indigenza e senza alcun mezzo per contrattare i propri diritti.

--

--

Giada Farrah Fowler
I BAMBINI DI GOLZOW

Opinion leader, socia Aci, trascrittrice braille, testimone oculare, insegnante di cockney. Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.