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Picasso è solo un computer

L’arte è per definizione fuori dagli schemi: ma è al sicuro dalle Intelligenze Artificiali?

Algoritmo: una parola da matematico che ci pare tanto astratta.
Scritte verdi si susseguono su uno sfondo nero fino a raggiungere un risultato-quello è un algoritmo.

Ma anche una ricetta può essere un algoritmo. Certo: un algoritmo non è nient’altro che una serie di istruzioni da eseguire in un determinato ordine. Prima di buttare la pasta, si fa bollire l’acqua, altrimenti ci si ritrova con dei fusilli rammolliti e decisamente crudi.

Di algoritmi ne utilizziamo tanti, ad esempio quando prepariamo la valigia, costruiamo una recinzione per il criceto, o svolgiamo il nostro lavoro. Ultimamente, alcuni compiti molto tecnici sono stati affidati ad un’intelligenza artificiale, come l’identificazione di colpevoli di un crimine, calcoli astrofisici o consigliarci su una diatriba stradale. L’intelligenza artificiale, a sua volta un algoritmo, esegue dei compiti che possono essere racchiusi in un algoritmo, una serie di istruzioni da svolgere.

Ma cosa c’entra questo con l’arte?

L’arte è spesso vista come creatività che spazia del tutto fuori da ogni schema standardizzato. Ma analizzando ogni campo artistico, si scopre che molte forme d’arte si basano su una precisa serie di istruzioni. Sono perciò soggette ad algoritmi.

La conseguenza è che l’AI può fare arte. Un fatto che, per quanto difficile da accettare, non è un’opinione: l’AI lo sta già facendo. Ecco come.

La musica è un algoritmo

“Desidero trovare dei suoni che nessuno ha mai sentito, avere una voce migliore per cantare parole con un senso. Desidero mettere gli accordi in un ordine del tutto nuovo, e non dover essere costretto a rimare mentre canto”

da “Stressed Out”, Twenty One Pilots.

In quattro battute, i Twenty One Pilots ci spiegano la ricetta per creare una canzone. Se dovessimo pensare ad un set d’istruzioni per comporre un brano tipo Without You di Avicii, potrebbe essere riassunto in:

  • 7 note [ma già con 5 si finisce su Billboard]
  • 4 accordi
  • un ritmo misurato in BPM, ovvero i tunz-al minuto di qualsiasi canzone tunz-tunz
  • un testo

Ovviamente questi 4 elementi devono rispettare una certa proporzione tra di loro, ma essa è dettata dai canoni del genere musicale che viene scelto.

I Twenty One Pilots affermano di desiderare di mettere gli accordi in un ordine del tutto nuovo. Cosa vuol dire? C’è un ordine ben preciso?

Si, è esattamente così. L’ordine di accordi che costruisce una melodia è quasi sempre lo stesso; semplicemente variando il ritmo, si può risalire all’intero repertorio musicale concepito dagli anni ’60 ad oggi: dai Beatles a Justin Bieber.

Il trio comico australiano, Axis of Awesome, la mette un po’ sul ridere, e sempre con gli stessi accordi, combina più di 40 canzoni recenti.

Ciò funziona anche se consideriamo altri generi al di fuori del Pop, proprio perché la musica vuole che determinati accordi seguino ad altri.

Ora, bisogna fare suonare bene il pezzo. Immagina di fare il pesto in casa, senza minimamente prestare attenzione alle proporzioni tra gli ingredienti: potrebbe diventare dell’olio profumato o dell’aglio al basilico.
I suoni infatti vanno mixati, per poi fare il mastering, quella tecnica per cui tutti i suoni si sentono allo stesso modo indipendentemente che tu ascolti la canzone in cuffia, su un impianto stereo da 40.000.000 di Watt, o sull’autoradio. Bilanciare i suoni, secondo determinate proporzioni… altra istruzione!

La musica è stata già composta da un’intelligenza artificiale. Basta visitare un sito come Jukedeck per rendersene conto. Il bello è che le canzoni possono essere personalizzate sotto molteplici aspetti. Si può scegliere un genere, il suo ritmo, la sua velocità, la durata, ma anche se la canzone debba raggiungere un momento di apice, aggiungendo tensione alla melodia.
Ed è tutto totalmente creato tramite un software. Ciò che manca, è la voce, indubbiamente, ma non è escluso che un giorno possa arrivare a anche quella.

Principalmente, Jukedeck offre un servizio simile a Jamendo, o quei siti che vendono o distribuiscono musica per video. In questo caso la musica serve solo da sottofondo, ed è lì per dare un ritmo alle immagini. Un punto di climax personalizzabile aiuta un videomaker a calibrare le sue durate di un video, prestando più attenzione alle immagini piuttosto che alla musica.
Ciò non toglie, che un cantante in erba non possa iniziare a scrivere un testo e metterlo semplicemente sopra una base musicale scritta dall’AI. O che un chitarrista lo usi per allenare il proprio orecchio musicale, tentando di riprodurre una canzone di cui non troverà mai uno spartito in giro.

Il video è un algoritmo

In effetti, è il suo svolgimento ad esserlo: la sua storia, il suo messaggio, lo storytelling.

Il video promozionale di un’azienda, ad esempio, si concentra sempre su 3 aspetti fondamentali: i numeri che fa l’azienda, i prodotti e infine le persone che la compongono. Una startup, che nasce per risolvere un problema specifico, invece si presenterebbe in questo modo: il problema, diverse soluzioni già tentate in passato e che non hanno avuto gli effetti sperati, la soluzione innovativa proposta dalla startup. Anzi, per qualsiasi prodotto o servizio, si può pensare ad uno schema della serie: problema, tentativi, soluzione efficace.

Non solo. Un videomaker un giorno potrebbe diventare anche un grande regista o uno sceneggiatore, scrivendo trame avvincenti che incantano il pubblico. Si trasformerà magari in un personaggio che vive in uno studio in cima ad una collina, da cui scruta la realtà per dare sfogo alla sua fantasia. Descriverà la vita di persone straordinarie, perfettamente in armonia con il paradigma dell’eroe. Una storia avvincente intrappolata nella struttura del paradigma di Syd Field.

Videomaking e storytelling sono materia ottima per un AI.
Pensiamo ad un tema, alla durata del film, al budget di produzione, e l’AI potrà sputare fuori una trama convincente, strutturata esattamente per essere ben digerita dallo spettatore.

Recentemente, un ingegnere del software ha fatto scrivere la trama del capitolo finale di “Game of Thrones” ad una rete neurale.

Nel caso di un messaggio pubblicitario si potrebbe provare addirittura a creare un narratore fisico. In effetti, un Obama lo abbiamo già replicato tramite Intelligenza Artificiale.

Magari è un po’ presto per pensare ad un film in cui tutti gli attori sono sostituiti da copie digitali. Ma prima o poi potremmo mandare in pensione gli stunt-men, creando un gemello dell’attore che si lancia nelle fiamme interamente a computer. Per non parlare dei film d’animazione, dove tuttora è richiesto un immenso lavoro umano per creare personaggi ed ambientazioni.

Al momento, l’AI sta iniziando piano sui video: Lumen5 è un’Intelligenza Artificiale in grado di leggere un testo e rielaborarlo come video presentazione. Il software legge il testo, associando ad ogni frase una determinata immagine, creando una sequenza di diapositive pertinenti.
Inoltre, è in grado di ricreare animazioni speciali, ad esempio riproporre il video come un cartone animato.

La pittura è…. un algoritmo!

Caro pittore in erba, ti sei comprato la tua tavolozza e i tuoi pennelli?
Puoi già rimetterli nel cassetto: le Intelligenze Artificiali sono più brave di te.

Ci sono state tantissime correnti artistiche nella storia, ognuna con le proprie regole. Se nel manierismo bisognava rappresentare luci e particolari esaltando il “bello”, nell’impressionismo ciò che contava era l’emozione di un attimo catturato e impresso sulla tela.

È facile pensare a determinate correlazioni sentimento-colore: un arancione può rappresentare uno stato d’ansia, il verde uno di tranquillità, il rosso l’ira. Queste correlazioni sono perfettamente replicabili da un’intelligenza artificiale. Lo stesso vale per i tratti: il disegno di un’AI quasi non si riesce a distinguere da quello di un pittore in carne ed ossa. Inoltre, proprio perché la visione computerizzata è diversa dalla nostra, i robot creano addirittura nuove forme d’arte, basate sulla propria percezione della realtà.

Quindi il pittore è davvero artificiale, come il Picasso nel titolo (anche il cubismo ha determinati schemi).

Ciò che rimane all’artista in carne ed ossa è il proprio estro e virtuosismo, il proprio “tratto”. La mano di Van Gogh è subito riconoscibile. Per gli appassionati c’è Deepart, un tool online che permette di “dipingere” le proprie foto secondo lo stile dei più importanti pittori della storia. Si può scaricare l’immagine per Instagram, ma anche ordinare un poster da 75 x 50 cm da appendere sopra la testata del letto.

Siamo certamente ad un inizio, ma sicuramente la pittura in sé non rimarrà relegata alle sole due dimensioni: la realtà virtuale sta facendo passi da gigante nel settore, e il Tilt Brush di Google rende il processo di creazione intuitivo. Non bisogna programmare un modello tridimensionale a computer, ma semplicemente disegnare intorno a sè stessi, come se tutto fosse tela.

L’Intelligenza Artificiale con la creazione di nuove correnti artistiche aiuterà i nuovi pittori ad avere una base su cui esercitarsi, un metodo con cui misurarsi, e una creatività con cui scontrarsi, per tirare fuori il meglio da una delle forme artistiche più antiche.

Il succo del discorso qual è?

Ora che alcune forme artistiche sono state del tutto scomposte, si arriva ad una conclusione: il valore aggiunto dell’Intelligenza Artificiale è quello della democratizzazione dell’arte, o meglio della creatività.

La parte creativa della musica si è sempre espressa nell’andare oltre quella sensazione di noia che si prova, quando si ascolta sempre un determinato genere. Cambiando qualcosa nelle istruzioni e nel modo di esecuzione di alcuni pezzi, si sono inventati generi sempre nuovi. Se si pensa alla musica elettronica, denominata anche mouse music per il fatto di essere composta a computer, si è assistito ad una vera e propria democratizzazione, tanto da creare dei veri e propri bedroom producers, ovvero produttori che dalla loro camera da letto hanno composto canzoni sempre più innovative, finendo per avere un vero e proprio successo.

Spesso, per pagare i costosi plug-in e i software per la composizione, molti artisti hanno deciso di vendere alcune proprie canzoni per “un video aziendale.” Il fatto che ora sia un’AI a rubargli un’entrata più o meno consistente, non dev’essere un motivo di disperazione: il tempo utilizzato per creare quelle semplici melodie, viene messo a disposizione per imparare ad andare sempre un po’ più in là degli attuali limiti.

I video, invece, la forma di comunicazione principe nel nostro periodo storico, se creati a costo zero, sono il trampolino di lancio per giovani imprenditori, freelancers e startuppers, ma anche di studenti e impiegati desiderosi di coinvolgere sempre più persone nel loro progetto. Mettere in mano a chiunque questa potenza comunicativa, sicuramente farà sbizzarrire chi sulla comunicazione ha fondato la propria professione: nasceranno nuove forme di comunicazione ancora più immediate, ancora più coinvolgenti, ad esempio grazie alla realtà aumentata o virtuale. Il Tilt Brush di Google ha già proiettato la pittura nella terza dimensione, e i dipinti stessi possono diventare opere del tutto interattive. Un modo per far apprezzare la pittura diverso dal semplice “star fermo lì davanti a fissare il quadro con aria intellettuale” che di solito propongono i musei.

Giusto per citare qualche tomo scolastico, pensa a “L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica” del filosofo Walter Benjamin. Nel 1900 l’artista sapeva che la sua opera poteva essere riprodotta su scala industriale: l’opera d’arte non era più unica, perfetta, preziosa. Poteva essere semplicemente prodotta in copie. La fotografia ha messo in crisi la pittura, la scultura è stata quasi del tutto abbandonata per diventare design industriale, la musica è uscita dalle sale di teatro per finire in un iPod.

L’arte si è reinventata.

E ora che c’è un’Intelligenza Artificiale a guidare il cambiamento, cosa inventeremo? La sfida alla creatività è proprio questa: grazie all’Intelligenza Artificiale, ognuno di noi, seduto davanti al computer, può essere un artista a modo suo. Prendendo spunto da ciò che un computer sa fare, per reinventare un’arte del tutto personale.

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