Il giro di vite di Jeff Sessions sulle droghe

Il procuratore generale ritira il memorandum di Obama che aveva dato mandato ai pubblici ministeri federali di non incriminare con pene altissime chi avrebbe commesso reati minori non violenti. Si torna alla guerra alla droga.

NonMeLaSpacciGiusta
4 min readJun 16, 2017

di Federica Brioschi

Jeff Sessions ha fatto la sua mossa. Negli Stati Uniti il giro di vite sulle droghe a livello federale è arrivato il 10 maggio tramite un memorandum del nuovo Procuratore Generale.

Jeff Sessions. Foto di Gage Skidmore (CC BY-SA 2.0)

Ne avevamo già discusso, tutta la società civile per la legalizzazione la stava aspettando e adesso, dopo quattro mesi dall’insediamento del nuovo Presidente alla Casa Bianca, l’amministrazione Trump ha preso la decisione che guiderà le politiche federali sulle droghe da ora in poi. L’annuncio è arrivato il 10 maggio tramite un memorandum sulle imputazioni di Jeff Sessions. Il contenuto del documento è stato reso noto alcuni giorni dopo e dà l’indicazione ai pubblici ministeri federali di applicare in maniera rigorosa le leggi nazionali per quanto riguarda i capi d’imputazione per i reati di droga. “I pubblici ministeri meritano di essere liberi e di non essere tenuti sotto controllo da Washington; gli deve essere permesso di applicare la legge ai fatti di ogni investigazione,” ha dichiarato il Procuratore Generale durante la conferenza stampa.

Ma facciamo un passo indietro al 2013.

All’epoca le carceri federali operavano al 40% al di sopra della loro capienza e circa la metà dei detenuti erano incarcerati per crimini di droga. Fu in quella complessa situazione che Eric H. Holder, il predecessore di Sessions sotto l’amministrazione Obama, indicò nel suo memorandum ai pubblici ministeri federali di non incriminare con capi di imputazione che avrebbero comportato “lo sconto di pene minime draconiane” coloro che avrebbero commesso reati minori non violenti e senza alcun rapporto con cartelli o spacciatori. Dava, insomma, una certa discrezionalità ai pubblici ministeri nell’omettere il quantitativo di droga che altrimenti avrebbe fatto scattare automaticamente pene minime molto pesanti. Questa politica fu sostenuta dalle clemenze concesse da Obama a coloro che avevano ricevuto pene esagerate (ad esempio 27 anni o l’ergastolo ostativo) per crimini non violenti legati alle droghe. Tutto ciò ha contribuito a far scendere i numeri del carcere senza compromettere, a detta di Holder, le percentuali di collaborazioni con la giustizia.

La sospensione dell’applicazione delle leggi federali aveva inoltre permesso a diversi Stati di regolamentare la marijuana o solo per uso terapeutico o anche per uso ricreativo (come ci aveva spiegato Stephen Downing in un’intervista dello scorso novembre). In concomitanza con le elezioni Presidenziali 2016, quattro Stati avevano potuto legalizzare l’uso terapeutico e altri quattro (tra cui la California, di cui abbiamo già parlato) anche quello ricreativo.

Il memorandum del 10 maggio si pone in netto contrasto con queste politiche. Lo stesso Sessions ha affermato che: “Contrariamente al precedente memorandum sulle imputazioni, ho privato i pubblici ministeri di quella discrezionalità per evitare delle sentenze che risulterebbero in un’ingiustizia”.

Ma cosa succederà adesso?

Il New York Times riporta l’opinione di una professoressa di diritto dell’Università del Michigan, Sonja B. Starr, la quale afferma che i pubblici ministeri avrebbero ancora un certo margine di discrezionalità nel decidere quali reati siano, come indicato dal memorandum, “i più seri e facilmente provabili” e che quindi i cambiamenti potrebbero non essere così drastici come sembra.

Anche Diane Goldstein aveva detto nella sua ultima intervista con noi che gli Stati Uniti non sarebbero ritornati al punto di partenza. “Sappiamo bene che il governo centrale non ha le risorse per andare in ogni Stato a interrompere l’uso medico o ricreativo della marijuana: avrebbero bisogno della cooperazione dei governi locali statali,” ci aveva spiegato.

Tuttavia non bisogna ignorare il fatto che le forze dell’ordine Federali potrebbero comunque applicare la legge Federale anche in caso di attività che per la legge del singolo Stato in questione risultano legali. Per evitare che le forze dell’ordine locali cooperino con la polizia Federale, alcuni Stati avevano pensato di introdurre un’apposita legge, ma alcuni temono che questa soluzione possa impattare negativamente anche su investigazioni congiunte su violazioni di leggi sia Statali che Federali.

Non ci resta che continuare a seguire lo svolgersi degli eventi; il nostro appoggio va alla società civile perché continui la battaglia per la legalizzazione all’interno dei singoli Stati e per un cambio di rotta a livello di politiche federali.

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