Frequenza Critica racconta: LucasArts — Parte 1

La nascita di Lucasfilm Games.

Paolo "n0l4n" Ferró
Frequenza Critica
9 min readJun 18, 2021

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personaggi di Maniac Mansion

LucasArts, nata come Lucasfilm Games nel 1982, è passata alla storia per il suo contributo al genere delle avventure grafiche, in particolare quelle punta e clicca. Andiamo a vedere nel dettaglio la sua storia, tra curiosità e pietre miliari.

“Avventura Grafica”, se ci si pensa bene, è una strana accoppiata di parole, un modo per dissociarsi da tutte quelle altre avventure videludiche che non presentavano una veste grafica; una concezione talmente strana e antiquata di questo genere che fa quasi strano pensarla al giorno d’oggi. Un videogame senza grafica? Follia! Eppure per decadi il genere delle avventure testuali aveva fatto da portabandiera a quella che era l’altra sponda del gaming, quella che metteva da parte prove di abilità e riflessi per offire storie interattive scritte su schermo che richiedevano l’input di frasi e blocchi di testo per la navigazione e il gameplay.

Questo è forse il più vecchio e caratteristico elemento del gaming per computer e non per console, uno stile di videogame pensato per macchine che avessero necessariamente una tastiera collegata. Si trattava di un mondo estremamente settoriale, ma che si sarebbe rivelato capace di sfidare i limiti del tempo e di fare la storia. Portabandiera di questo filone videoludico fu il classico Zork, del 1979, seguito da una serie di giochi testuali che gradualmente sarebbero andati includendo elementi grafici quali una mappa, un inventario, una sorta di “scheda del personaggio” in puro stile Dungeons & Dragons e infine sommarie rappresentazioni visive delle scene descritte, parallelamente all’uscita di molti “Librogame”, avventure cartacee interattive che spaziavano tra semplici storie a bivi a giochi dal gameplay più approfondito come la celebre saga di Lupo Solitario edita a partire dal 1984.

schermata di Zork
La schermata iniziale di Zork.

Ma procediamo con ordine: la Lucasfilm Games viene fondata nel 1982 da George Lucas in persona come succursale della sua più famosa compagnia di produzione cinematografica. Ironicamente, il quartier generale iniziale della compagnia era situato a Lucas Valley Road, un indirizzo che però non aveva niente a che fare col fondatore della compagnia, in quanto prendeva il nome da un allevatore del diciannovesimo secolo, John Lucas, che non era neppure parente di George.

I primi titoli marchiati Lucasfilm Games furono tutt’altro che avventure grafiche: dall’iniziale collaborazione con Atari, Epyx e Activision nacquero titoli trascurabili quali Ballblazers e Rescue on Fractalus! Per Atari 8-bit.

copertina di Ballblazer
La copertina di Ballblazer.

Fu solo nel 1986 che la compagnia si affacciò sul mercato delle avventure grafiche pubblicando il Labyrinth per Commodore 64, gioco ispirato al famoso film dello stesso anno prodotto da George Lucas.

copertina di Labyrinth
La copertina di Labyrinth: The Computer Game.

Il gioco iniziava offrendo una classica interfaccia testuale. Venivano fatte domande personali al giocatore, veniva descritto il suo andare al cinema a godersi il film e poi… qualcosa di stupefacente avveniva di fronte agli occhi dei fan delle avventure interattive: il “film” iniziava e la componente testuale veniva minimizzata lasciando spazio a una rudimentale ma intuitiva veste grafica. Il personaggio poteva adesso muoversi nello spazio, interagire con l’ambiente circostante, consultare un inventario e parlare coi personaggi che lo circondavano. Una piccola rivoluzione tecnica che sarebbe stata solo la punta di un iceberg destinato a rivelarsi negli anni a seguire.

screenshot di Labyrinth
L’interfaccia grafica di Labyrinth.

Ma offriamo un po’ di contesto: negli stessi anni un’altra compagnia nata prima e ormai già affermata era padrona del mercato delle avventure grafiche. Stiamo parlando della Sierra On-Line, che era in attività dal 1979 e che dal 1980 aveva fatto da pioniere al settore delle avventure grafiche con Mystery House, sviluppato per Apple II.

screenshot di Mystery House
Mystery House su Apple II.

Si trattava di un gioco dalla navigazione prettamente testuale ma che presentava una rozza veste grafica in wireframe (su schermo nero gli ambienti venivano rappresentati con grossolani bordi bianchi) che però rappresentò il primo gioco di questa categoria a offrire un colpo d’occhio visivo di una data scena, piuttosto che costringere il giocatore ad affidarsi a descrizioni testuali. La Sierra sarebbe andata avanti sviluppando avventure (sempre più grafiche e sempre meno testuali), dando vita a famose saghe quali quelle di King’s Quest, Space Quest, Police Quest e attenendosi alla stessa ricetta di gameplay, quella che a tutt’oggi associamo al brand Sierra: muori, muori, muori, MUORI!

Le avventure Sierra sono da sempre state notoriamente punitive, nella maggior parte dei casi presentavano un punteggio nella barra alta ed era estremamente facile cadere vittima di trappole spesso impossibili da prevedere. Dopodiché si ricominciava da capo, senza se e senza ma.

screenshot di King’s Quest
Il primo capitolo di King’s Quest in versione originale.

Naturalmente stiamo parlando di un gaming figlio dei propri tempi, privo degli schemi e delle restrizioni di mercato attuali e che poteva permettersi di innovare e di scegliere la propria impostazione, specialmente in generi settoriali e sperimentali.

Ed è proprio qui che sta la chiave di volta, il singolo e principale elemento che ha consegnato alla storia la LucasArts come i signori indiscussi delle Avventure Grafiche, a scapito di coloro che li hanno preceduti e ne hanno indicato la strada.

Molto semplicemente le Avventure Grafiche LucasArts sono passate alla storia e hanno potuto affrontare il test del tempo perché, nella loro concezione generale, non permettono al giocatore la possibilità di morire o di rimanere bloccato senza possibilità di proseguire. Un elemento semplice ma che rimuoveva buona parte della frustrazione insita nell’esperienza della maggior parte delle avventure grafiche e che sarebbe diventato una caratteristica emblematica e imprescindibile di tutto il settore.

raccolta di morti di Space Quest
Una raccolta delle morti di Space Quest di Sierra.

Ma fu così dall’inzio? Beh, no.

Questo elemento sarebbe arrivato solo in un secondo momento. Era assolutamente possibile morire o rimanere bloccati in Labyrinth, così come lo era in Maniac Mansion, del 1987, anche se in maniera meno frequente e frustrante della media delle avventure grafiche Sierra. Questo poteva rappresentare un ostacolo per il giocatore che si approcciava a questo tipo di gioco per la prima volta, ma Maniac Mansion ebbe comunque grande successo, e tanti degli elementi introdotti per la prima volta in questo gioco finirono per diventare caratteristici delle future produzioni della compagnia.

screenshot di Maniac Mansion
Maniac Mansion su Commodore 64.

Stiamo parlando della presenza di cutscene, di un’interfaccia di navigazione intuitiva che rendeva l’elemento testuale ormai marginale, della possibilità di affrontare l’avventura con diversi personaggi dotati di diverse caratteristiche e abilità, della presenza di finali multipli e, ultimo ma non meno importante, la forte dose di umorismo che avrebbe caratterizzato anche buona parte dei titoli LucasArts degli anni a seguire.

Maniac Mansion fu pubblicato inizialmente per Apple II e Commodore 64 e il successo del titolo gli garantì conversioni per PC DOS, Amiga, Atari ST e NES.
Oltre che per il grande successo commerciale e per essere stata la prima vera avventura con interfaccia punta e clicca di Lucasfilm Games, Maniac Mansion è nota anche per essere stata il primo gioco a utilizzare lo SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion), il motore grafico/linguaggio di programmazione che sarebbe poi stato utilizzato in tutte le altre loro avventure grafiche degli anni a seguire. Realizzato da Ron Gilbert e Gary Winnick, il gioco intendeva essere una parodia del genere horror e fu aggiornato e ripubblicato più volte a seguito dell’immediato successo commerciale.

copertina di Maniac Mansion

L’anno seguente fu la volta di Zak McKracken and the Alien Mindbenders, realizzato da David Fox e Matthew Alan Kane per Commodore 64, che ricordo essere stato il primo videogioco su cui io abbia mai personalmente posato gli occhi, nel 1988, come ho raccontato nel mio primo articolo qua su Frequenza Critica.

Questo titolo era invece una parodia del genere fantascientifico ed era anch’esso realizzato utilizzando una versione leggermente aggiornata di SCUMM. Dal punto di vista tecnico è da notare il fatto che questa è stata la prima avventura grafica Lucas a introdurre l’uso di audio digitale sotto forma di MIDI. L’intero gameplay è accompagnato da una colonna sonora qualitativamente approssimativa ma altamente orecchiabile e che occasionalmente mi ritrovo a canticchiare tutt’oggi.

screenshot di Zak McKracken and the Alien Mindbenders

In questo titolo era ancora possibile rimanere bloccati e dover ricominciare la partita o morire, sebbene in misura ancora minore rispetto a Maniac Mansion.

Il gioco ebbe particolare successo in Europa piuttosto che negli Stati Uniti e divenne un modesto fenomeno di sottocultura popolare che gli valse una citazione nel titolo di un episodio del famoso cartone animato Teenage Mutant Ninja Turtles chiamato “Zach and the Alien Invaders”.

copertina di Zak McKracken and the Alien Mindbenders

Nel 1989 arrivò sul mercato il primo adattamento a videogame di una delle maggiori saghe di intrattenimento di casa Lucas: stiamo parlando di Indiana Jones and the Last Crusade, gioco direttamente ispirato al film e che ne ripercorre la storia.

Ancora una volta veniva utilizzata una versione aggiornata di SCUMM, musica midi e un’interfaccia di navigazione simile al precedente Zak Mc Cracken. Il progetto era capitanato da Ron Gilbert, Noah Falstein e David Fox e fu pubblicato per Commodore 64, Amiga, Atari ST, PC DOS, Macintosh e FM Towns. A livello di gameplay è da notare il fatto che questo titolo offrisse molteplici modi di risolvere gli stessi enigmi e che fosse presente un indicatore di punteggio denominato IQ, che valutava la bravura del giocatore. Si trattava di una dinamica direttamente importata dalle avventure grafiche Sierra, ma con alcune piccole ma sostanziali variazioni.

screenshot di Indiana Jones and the Last Crusade su Amiga
Indiana Jones and the Last Crusade su Amiga.

La critica convenne sul fatto che il titolo fosse un gioiellino del suo genere e le valutazioni furono unanimamente alte, garantendogli un grande successo commerciale: superando le duecentocinquantamila copie, divenne il gioco Lucasfilm Games più venduto fino a quel momento.

Le versioni iniziali includevano un manuale cartaceo che riproduceva in parte il diario di Henry Jones Senior presente nel film e il suo utilizzo era necessario per superare alcune parti del gioco; un piccolo cimelio per collezionisti ancora oggi molto ambito. Il gioco dedicato a Indy era parecchio difficile e a tratti frustrante per i neofiti del genere, infatti era altamente possibile bloccarsi senza possibilità di tornare indietro o morire.

copertina della versione pc di Indiana Jones and the Last Crusade
La copertina della versione PC di Indiana Jones and the Last Crusade.

Lo stesso non si può dire invece per Loom, diretto da Brian Moriarty e pubblicato per le stesse piattaforme sopra citate nel 1990. Si tratta un titolo originale di natura prettamente fantasy, che rivoluzionava però l’interfaccia del gioco offrendo un’esperienza a tutt’oggi unica nel suo genere. Il giocatore questa volta non interagiva con l’ambiente e l’inventario cliccando su verbi e componendo frasi, bensì doveva trovare incantesimi composti da note musicali e capire a cosa servissero e dove utilizzarli per proseguire.

Come ho detto poco sopra, era praticamente impossibile rimanere bloccati e dover ricominciare il gioco o morire. La sua stessa concezione lo rendeva nettamente più accessibile, forse in risposta alle (marginali) critiche avanzate nei confronti del titolo precedente.

screenshot di Loom
Una delle schermate iniziali di Loom.

Loom marca il passaggio verso quella che è a tutt’oggi il marchio di fabbrica delle avventure Lucas, quella rassicurante consapevolezza del fatto che in qualche modo puoi sempre proseguire, devi solo capire come, la soluzione è comunque là fuori.

Fu apprezzato dalla critica ma sfortunatamente fallì nel risultare un successo commerciale sufficiente da garantirgli dei sequel. Era praticamente impossibile stare al passo col titolo precedente, aiutato come era dal fatto che fosse un tie-in con una proprietà intellettuale cinematografica affermata che ne aiutò la diffusione e le conseguenti vendite. Loom rimane comunque un titolo amato dai fan, molti dei quali tutt’oggi ne vorrebbero vedere un seguito.

copertina di Loom

Lo stesso anno però uscì anche un titolo che invece di sequel ne avrebbe avuti molti e che avrebbe segnato in maniera indelebile la storia del genere dei punta e clicca. Si tratta forse dell’avventura grafica più famosa di tutti i tempi e che sarebbe stata l’ultima del marchio Lucasfilm Games prima di passare, dopo la riorganizzazione aziendale, al brand LucasArts: stiamo parlando naturalmente di The Secret of Monkey Island, ideato da Ron Gilbert.

screenshot di The Secret of Monkey Island

Ma questa sarà la storia per un altro articolo, ci vediamo presto con la parte 2 dedicata all’ascesa alla gloria di LucasArts negli anni ‘90.

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