L’importanza della scelta

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Quello sinora analizzato e descritto è un uomo in crisi.
Aderisce a modelli comportamentali imposti — è un consumatore infantilizzato, strumentalizzato, è un lavoratore flessibile costantemente esposto al rischio — e lo fa spesso in modo acritico, automatico, nonostante avverta ansia e disagio. Accetta passivamente l’oppressione del metaforico Inquisitore, rinunciando consapevolmente alla propria libertà in cambio della sua guida, oppure non accorgendosi nemmeno della sua esistenza. Si rifugia in molteplici microcosmi artificiali per allontanarsi dalla realtà e cercare protezione. Non riesce a comprendere se è più o meno libero degli uomini che l’hanno preceduto.

La crisi è una fase collocata al capolinea di un ciclo, fa parte del processo vitale. Il termine ha origine greca (κρίσις), il suo corrispondente latino è crisis; entrambe le voci mantengono il significato di “scegliere”, “discriminare”, “separare”, “decidere”.
Nella lingua cinese 危機 Wej-ji è l’ideogramma del termine crisi e si compone della combinazione di due parole: pericolo/problema e opportunità, come a voler delineare nel concetto di crisi un’ambivalenza, che rimanda in primo luogo all’idea di un contesto conflittuale, di una realtà caotica e disgregata che crea sgomento, ma allo stesso tempo a una possibilità di crescita, rinascita, svolta, miglioramento. La crisi è indice di un cambiamento, di un passaggio di stato. Ed è l’occasione, il momento opportuno, per operare una scelta.

Nel momento in cui l’uomo si trova impossibilitato a soddisfare i propri bisogni, nel momento in cui la crisi viene avvertita, si insinua in lui un senso di angoscia, che lo proietta e lo sposta in un mondo che sta al di là della parete del presente, in cui giocare a “fare il morto”, rinviare scelte e decisioni, vivere nell’indifferenza, privarsi di desideri e scopi, sembra l’unica via di fuga possibile.

La scelta stessa è decisiva per il contenuto della personalità.

Allontanare le scelte, rimandarle a un futuro imprecisato, fa sì che l’uomo perda la propria soggettività. Søren Kierkegaard sottolinea l’importanza del recupero della responsabilità da parte dell’uomo, che si caratterizza per la possibilità di una libera scelta tra alternative inconciliabili. Dalla prospettiva dell’aut-aut nascono due tipologie di vita: estetica ed etica.
La prima è una vita che sceglie di non scegliere, scivola nell’immediato, nel piacere illusorio, si perde in un eterno presente di soddisfazioni a breve termine, vive in balia dei sensi, degli istinti ma procede inesorabilmente verso la disperazione, poiché l’uomo possiede dentro di sé qualcos’altro, che non potrà mai essere soddisfatto da un’esistenza esclusivamente sensibile, priva di centro e di senso.
Al contrario, chi vive eticamente, sceglie di scegliere, si impegna in un compito continuo ed al quale rimane fedele, si sottopone a un modello di comportamento che implica il rifiuto dell’eccezionalità a favore della “normalità”.
Se la figura della vita estetica è incarnata nel seduttore, quella della vita etica è rappresentata dal matrimonio, un impegno da onorare e rinnovare in modo reiterato nel tempo. Tuttavia anche la vita etica è destinata al fallimento, poiché in essa l’individuo non riesce a trovare la propria singolarità, la propria essenza e soprattutto perché al suo interno nasconde una presunzione superba e peccaminosa di auto-salvezza, come se l’uomo volesse in questo modo sostituirsi al Creatore. L’unica possibilità di salvezza per l’uomo, di liberazione ed affrancamento dall’esteriorità è, per Kierkegaard, il riconoscimento dell’impotenza delle proprie forze e la scelta della fede, della dipendenza da Dio.
Il simbolo della vita religiosa è la figura di Abramo. Egli si affida a Dio al punto che per lui è disposto a sacrificare il suo unico figlio, si sottomette completamente alla volontà divina contro ogni razionalità.
Scegliere per Kierkegaard non significa trascorrere da una cosa ad un’altra con la speranza che tutto possa essere comunque vissuto o recuperato all’occorrenza. La scelta è la decisione di una possibilità a scapito delle altre.

Le odierne spiegazioni sulla paventata crisi dei valori hanno tralasciato e sottovalutato una crisi ben più grave ed attuale: quella della decisione, della scelta.
In ogni istante della nostra vita siamo chiamati a operare scelte, dalle più banali alle più complesse, che determineranno le nostre azioni e il nostro futuro.
Possiamo schematicamente immaginare il processo di scelta come un diagramma di flusso in cui ogni passaggio implica da due a infinite alternative, a partire dalle quali è necessario valutare, attivando strategie funzionali, quale opzione sia la più adatta alla situazione che stiamo vivendo. Il rischio è quello che il nostro diagramma presenti delle imperfezioni e che il meccanismo domanda — risposta — dubbio vada a perdersi in un loop, in un circolo vizioso di autoinvalidazione ricorsiva, una tensione conflittuale tra desideri opposti, direzioni contrastanti.

È un fatto inconfutabile che molte persone vivano la propria incapacità di prendere decisioni cercando le risposte nell’ambiente esterno, non solo per trovare sostegno, ma affidandosi completamente al giudizio dei propri simili, al parere dell’esperto, dello “specialista”, a articoli divulgativi spesso ricolmi di generalizzazioni.

Ogni aspetto dell’esperienza umana diviene target di interventi di esperti che ci dicono come amare, come provare dispiacere, come crescere i figli, come decorare la casa. Anziché avere relazioni libere tra persone siamo incoraggiati a mettere in mezzo una terza parte. Il risultato è che le relazioni diventano transazioni.

É paradossale che la libertà di scelta faccia oggi così paura. Manca un tessuto organico di significato che consenta di dare un senso all’incertezza ed al cambiamento, e di conseguenza l’individuo vive spesso la libertà come qualcosa di disorientante ed emotivamente doloroso.

Scegliere è “faticoso”. Riuscire a farlo rappresenta la tappa più matura della crescita personale. La complessità della società attuale non è d’ausilio a questo compito: le alternative possibili si moltiplicano a dismisura, la sensazione di impotenza e la tentazione di non scegliere “vivendo alla giornata” o di optare per la soluzione più comoda, indolore ed immediata, sono comportamenti endemici.

Possedere un solido senso di identità è la precondizione fondamentale per entrare nell’età adulta ed essere in grado di compiere scelte. Fino a che la base identitaria resta incerta e fragile, si può essere fortemente tentati di arrestarsi su posizioni conosciute, sperimentate, evitando di esporsi al rischio.

Marc Chagall, Sacrificio di Isacco (1955–1966)

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Bibliografia
S. Kierkegaard, Aut Aut. Estetica ed etica nella formazione della personalità, Milano, Mondadori, 2010.
F. Mancini, A. Semerari (a cura di), Le teorie cognitive dei disturbi emotivi, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1991.
Intervista al sociologo anglo-ungherese Frank Furedi, “Il Giornale”, 10 luglio 2007. Link: http://www.ilgiornale.it/pag_pdf.php?ID=55767.

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Giada Farrah Fowler
KYNODONTAS / ADOLESCENZA SENZA USCITA

Opinion leader, socia Aci, trascrittrice braille, testimone oculare, insegnante di cockney. Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.