L’osservo, questo fiore dall’incarnatocaldo, umido, dolciastro, impressosul cotone bianco, immacolato.
Pare un piccolo garofano rossosgualcito, schiacciato, un po’ slabbrato,o la ferita d’un dolente morso
La ricorrente marea della folliaha eroso il tufo e il granitodella tua mente, e i tuoi anni fecondi
sono franati nella correnteprecocemente, scivolando a valleverso mari sempre più profondi.
Cavalcavia indiscreti, qua e làtraversano la tangenziale, epiù avanti la ferrovia,fiumane umane le percorrono entrambe,indifferenti al vuoto, al perdono,alla disperazione, al lutto, a tuttotranne al loro moto cieco e bruto.
Prendi fiato, riposa un istante,finalmente, sul crinale di questituoi anni dispersi, sfuggiti, sfarinaticome cenere al vaglio,il sentiero rimasto non è tanto lungo,ormai, e l’aurora che ti lasciastialle spalle a fondo valle,non è più che un vago lucore.
Dio è silenteda lungo tempo ormaisopra questa acida città,sui suoi muri bianchie le vetrate cauterizzatedegli uffici,vuoti nottetempo,desolati, eppureilluminati costantementea chiarir la via agli alcolizzati.
Le lunghe, interminabili sere d’estatesono finite, quasi d’un tratto,così: inaspettatamente.
Son terminate, e non è piùquell’agro lucore, persistente,all’orizzonte, il giorno ostinato
…Cara, la Morte,come gli stupidi e i fanaticidetesta l’ironia, il sarcasmonemmeno lo comprende, arma biancadella libera mente.