I 20 che gliele hanno suonate al 2020 (più tre premi speciali)

Il ragno aveva deciso di sottrarsi al rito delle classifiche di fine anno, perché in questo anno difficile si era rifugiato nell’ascolto di cose non proprio di attualità. Ma dal momento che è stato assediato dalle richieste, ecco gli album del 2020 che gli hanno reso meno pesanti le giornate…

Massimo Giuliani
RadioTarantula
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8 min readJan 2, 2021

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È appena finito un anno in cui tutti, dai cantanti delle megaproduzioni agli artisti che vivono di serate nei locali, hanno avuto il loro brivido, e ancora non si sono ripresi.
Per gli uni e per gli altri, insieme ai concerti in streaming i cd registrati nelle “quarantine session” casalinghe sono fra le novità di un anno che probabilmente cambierà qualcosa nel nostro modo di godere della musica, anche se forse non abbiamo ancora capito come cambierà.
Ma sebbene non ci piaccia pensare ad un futuro in smart working per i musicisti che ci stanno a cuore, guardiamo con curiosità a quel che ne verrà fuori almeno quanto guardiamo con dispiacere e apprensione al presente.

Premio Speciale “Non c’è storia”: Bob Dylan, Rough and Rowdy Ways

Come si fa a confrontare quest’album col resto della musica? Proporreste per un premio letterario, che ne so, il Nuovo Testamento? Il punto non è che sia un album bellissimo (e lo è), il punto è che questo non è un album di musica, questo è Bob Dylan che arriva e fa il punto della situazione. Forse non chiude un’era, ma ce la racconta al passato con la voce dell’unico al mondo che può permettersi di farlo. Rough and Rowdy Ways non fa parte della storia del 2020; Rough and Rowdy Ways è la storia.
Nell’attesa della pubblicazione, il ragno commentò prima in questo modo e poi in quest’altro i singoli che annunciavano il lavoro completo.

Premio Speciale “Ubiquità”: Lorenz Zadro, Blues Chameleon

Uscito all’inizio del 2020, Blues Chameleon è assemblato con brani di un lungo arco di tempo, dalla multiforme attività di chitarrista e produttore di Lorenz Zadro. Dunque non proprio un disco dell’anno, ma era necessario ricordarlo.
Ah: Lorenz ce lo raccontò qui.

Premio Speciale “Non ho fatto in tempo ad ascoltarlo, ma lo metto in lista sulla fiducia”: Roberto Menabò, The Mountain Sessions

Niente, dal momento che il cd non si trova nei negozi (né sulle piattaforme streaming) e il lockdown ha fatto sì che non fossi nello stesso posto in cui era il postino (è una storia lunga), davvero non ho ancora avuto il piacere.
Ma ascoltate questa anteprima (“Tom Cat Blues” di Cliff Carlisle, credo 1936) e ditemi se non siete già innamorati di The Mountain Sessions. Roberto Menabò è veramente un maestro del genere e torneremo a parlarne.

E ora procediamo con i 20, in ordine alfabetico e senza pretese di classifica.

Stefano Barigazzi: Sitting Singin’ Old Songs

Il titolo Sitting singin’ Old Songs spiega bene: è un album solitario, casalingo ed estemporaneo, realizzato con pezzi blues ma non soltanto, da un chitarrista come Stefano Barigazzi che nel blues ha una storia assai apprezzabile. Bello, bello, bello, segnalato qui a suo tempo dal ragno.

Stefano Barotti: Il grande temporale

L’album è realizzato attraverso una campagna di crowd funding, di cui l’autore ci parlò in questa intervista. Conoscevamo da un pezzo la scrittura raffinata di Stefano Barotti e Il grande temporale è un balzo in avanti, grazie a una band di lusso e a undici canzoni portentose.

Val Bonetti: Hidden Star e A World of Lullabies

Val Bonetti a un certo punto se ne esce con due cd in un anno. Hidden Star è registrato da Rinaldo Donati con brani originali; A World of Lullabies è fatto di arrangiamenti di ninne nanne da tutto il mondo, frutto di un’operazione di crowd funding (se ne parlava qui con lo stesso Val Bonetti) tesa a finanziare un progetto per i bambini con la sindrome di Lennox-Gastaut. Due lavori molto distanti ma connessi dalla passione di Val per le musiche tradizionali: ce ne sono tracce nel primo (vedi il brano postato qui, con Cheikh Fall alla kora), e sono la materia prima del secondo. Io, che non voglio scegliere, li metto in lista tutt’e due come se fossero due puntate di una stessa storia.

Shirley Collins, Heart’s Ease

Torna a 85 anni Shirley Collins, nome storico del folk revival britannico (anche a fianco di Davy Graham). Soprattutto una forma di disfonia funzionale l’ha tenuta lontana dai microfoni per parecchio tempo (salvo un cd pubblicato nel 2016). Heart’s Ease è un album che sfida i limiti e ci riconsegna una voce dolente e profonda.

Joachim Cooder, Over That Road I’m Bound

Da dove arriva Joachim Cooder si capisce dal cognome. Over That Road I’m Bound parte dal repertorio di Uncle Dave Macon, adattato alla mbira elettrica (una specie di kalimba, che viene dall’Africa sud orientale). Fra gli ospiti c’è anche papà Ry, dal quale Joachim imparò a conoscere e a suonare la musica tradizionale. Questa introduzione farà pensare a un album dal suono, diciamo, “conservativo”, ma così non è. Ascoltate.

Mike Dawes, Shows and Distancing

Non sono un appassionato di quella chitarra post hedgesiana che spesso simula le tecniche del Maestro senza lo stesso spessore compositivo, e se devo dirla tutta non vado matto per tutti quei nuovi picchiettatori di chitarre.
Fra tutti, Mike Dawes ha dalla sua, oltre alla tecnica, una certa musicalità e una sua forza comunicativa. Uno all’anno è sufficiente, e per quest’anno scegliamo lui.
Il titolo Shows and Distancing fa riferimento esplicito alle vicende degli ultimi mesi.

Steve Earle, Ghosts of West Virginia

Il vecchio Steve Earle fa un album tutto ispirato a una tragedia mineraria che nel 2010 fece 29 vittime. Nate per accompagnare in versione voce e chitarra lo spettacolo teatrale di Jessica Blank e Erik Jensen, le canzoni sono diventate un album con l’apporto dei fidi Dukes.

Miriam Foresti, A Soul with no Footprint

Ce lo aveva annunciato nella lunga conversazione a proposito dell’album precedente, e ora l’album di Miriam Foresti su Nick Drake è finalmente arrivato. È frutto di un lungo studio su Nick, sulla storia della sua sofferenza psichica e sull’approfondimento delle figure dei suoi genitori. Da autrice e compositrice del suo calibro, Miriam tira fuori dal cantautore inglese una ricchezza e una bellezza che tolgono il fiato.

Beppe Gambetta, Dove Tia O Vento / Where The Wind Blows

Finalista come “miglior canzone” alle Targhe Tenco 2020, Beppe Gambetta ha prodotto un album che è esplicitamente una dichiarazione di fiducia nel mezzo del lockdown (erano previsti originariamente altri tempi per la pubblicazione). Beppe Gambetta ha una storia importante di chitarrista flat picking che lo ha portato a suonare accanto ai più grandi maestri degli Stati Uniti, e con la stessa autorevolezza da un sacco di tempo interpreta (e racconta in giro per il mondo) De André e la musica genovese.
Questo è un album più cantautoriale, in una certa misura autobiografico. Qualcuno ricorderà che ne parlammo a proposito di un live cremonese.

Ben Harper, Winter Is for Lovers

Un album sussurrato, minimale, dove le note rincorrono i silenzi, dove tutto è essenziale. Solo Ben Harper e la sua lap steel acustica, sedici brani con nomi di luoghi e con dentro le memorie di una vita di musica. Lui ci mette tanto cuore quanto se ne può trovare nella musica che suona con gli Innocent Criminals.

Fay Hield, Wrackline

Inglese, musicista, studiosa ed etnomusicologa, Fay Hield realizza un album in cui attraverso brani tradizionali e canzoni originali racconta storie cupe ed estreme. Grandissima interprete anche al banjo. L’etichetta è la Topic, l’album è bellissimo e i suoni sono molto curati.

Paul McCartney, III

Il numero 3 esce a sorpresa, complice il lockdown, e ci trovi tutto quello che pretendi da Paul McCartney. Scintillante, imprevedibile, divertente, creativo.
L’autore spazia fra generi senza e realizza un lavoro che poco concede al gusto corrente (tanto che gli frega, lui è Mccartney).

Diego Potron, Ready To Go

Ne parlammo qui e l’album è di quelli da non lasciare nello scaffale dopo un po’ di ascolti. Cupo e divertito, tradizionale ma sorprendente, Diego Potron è un autore che pesca nel blues, nel folk e nell’amore di sempre, lo stoner rock, per raccontare storie. Con R2Go spinge con ancora più convinzione sul pedale della sua identità di storyteller. E ci butta dentro una cover che ti sorprende.

Charlie Rauh, The Bluebell

Un album che trabocca di poesia. Charlie Rauh — chitarrista e compositore di New York — prende la sua chitarra parlor (una Collings Baby 1 Mh) e realizza una raccolta di canzoni ispirate alla poesia di Emily Brontë.
Un gioiello vero.

Claudio Sanfilippo, Contemporaneo

Chiuso in casa come tutti, Claudio Sanfilippo non si accontenta di aver appena pubblicato Boxe, l’album della vita: chiama a raccolta i figli (sotto lo stesso tetto), un certo numero di amici e collaboratori di sempre (a distanza) e pubblica tredici canzoni, fra cui il brano eponimo che getta una luce più “politica” sul repertorio di un cantautore che ha sempre cantato storie intime e personali.
Un disco sorprendente anche perché totalmente inatteso.

Seasick Steve, Blues in mono

Natico di Oakland, classe 1951, Seasick Steve mi ha impressionato con questo nuovo album registrato con un vecchio microfono. Contiene alcuni brani originali e molto blues tradizionale, del quale “Seasick” restituisce in modo splendido sia la gioia che la profonda cupezza. Un po’ come vi aspettereste da uno che si fa chiamare “Maldimare”.

John Smith, Live in Chester

Chitarrista e cantautore inglese, John Smith possiede una vena sopraffina sia come autore che come chitarrista. La sua musica ha spiccati riferimenti a John Martyn, almeno per quel che possono dire le orecchie del sottoscritto.
Il suo live del 2020 è un album molto affascinante.

Bruce Springsteen, Letter to You

Grande gioia all’uscita di Letter to You, ma anche inconsolabile incazzatura. Bruce Springsteen, passati i 70, ci mostra come avrebbe potuto essere la storia dopo The River se a quel punto non avesse deciso di ridimensionare il ruolo della band sia in fase compositiva che in studio. Fu più o meno quando fummo costretti a dirottare verso l’acquisto di esomeprazolo i denari che fino ad allora tenevamo da parte per i bootleg.
Il ragno ha parlato di quest’album in un lungo e accorato articolo, qui.

James Taylor, American Standard

Ero indeciso, devo dire. L’album di James Taylor mi è sembrato francamente uno di quei lavori talmente perfetti e fatti come si deve da risultare poco coinvolgenti. Troppa classe, diciamo.
In età matura Taylor fa come altri colleghi della sua generazione: si volta indietro e si propone come interprete autorevole del great american songbook.
Se lo può permettere, in fondo, e lo fa da par suo. E non posso escludere che con un po’ di ascolti l’album sappia diventare un po’ più amico.

Molly Tuttle, …but I’d Rather Be with You

Album da lockdown anche questo, con dieci cover. Una Molly Tuttle forse un po’ meno chitarrista del solito, ma grande interprete e arrangiatrice. Ha pubblicato un album di grande classe, forse non di quelli che si ricordano per tutta la vita, ma con tutto quello che serve per fare compagnia in un periodo particolare.

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Massimo Giuliani
RadioTarantula

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.