The Sad Stork’s Best Albums of 2021

The Sad Stork
18 min readDec 19, 2021

--

I Magdalena Bay aka (sottovoce) probabilmente gli autori del miglior disco dell’anno — ed è l’unico accenno di classifica che leggerete da queste parti

Anche il 2021 è finito. O comunque sta finendo. E come è giusto e tradizione ogni qual volta si avvicina la fine dell’anno, è cosa buona mettersi a fare ordine nel proprio anno, nei propri ascolti e nelle proprie tendenze e iniziare a stilare, più per se stessi che per chi potrebbe guardare, a dir la verità, una lista di ciò che ci è piaciuto e di ciò che ci ha interessato nel corso degli ultimi trecentosessantacinque giorni. Nel tentativo di fare ordine, dunque, ecco i miei cinquanta dischi — alcuni sono EP, altri addirittura mixtape, ma insomma, ci capiamo, parliamo di collezioni di brani — preferiti di questo 2021. Avvertenza, siccome quest’anno per la prima volta nella mia vita ho adottato un’usanza tipica di mio padre e mi sono messo a raccogliere in una lista tutti gli album che ho ascoltato — ad essere più precisi, quelli che ho valutato dal 6 in su, perché convinto mi sarebbe potuto interessare ripassarci sopra — nel corso dell’anno, i dischi che vedrete saranno catalogati in ordine di ascolto da parte mia, che spesso si sovrappone, ma non in tutti i casi, anche con il loro ordine di uscita sulle piattaforme streaming. E siccome non ci sono altre regole da sapere, né classifiche da ordinare — non troverete valutazioni di alcun tipo, anche perché dovessi decidermi ad inserirle con il senno di poi qualche voto potrebbe cambiare leggermente — non mi resta altro che lasciarvi alla lista stessa. Ciao!

Sleaford Mods — Spare Ribs

Miglior canzone: Nudge It

La ricetta è sempre quella, e non ha smesso di funzionare neanche questa volta. È un poco deprimente il fatto che gli Sleaford Mods debbano sempre parlare delle stesse cose perché queste continuano ad avere un impatto negativo tremendo sulla vita di fin troppe persone, ma questa non è una responsabilità del duo britannico, anzi, semmai è un loro merito continuare a martellarci nelle orecchie.

Arlo Parks — Collapsed In Sunbeams

Miglior canzone: Too Good

La quantità di premi vinti da un certo disco, ma in generale da un certo prodotto artistico, non dovrebbe avere alcun valore per noi che ascoltiamo. In fin dei conti, l’arte è sempre e del tutto soggettiva. Ci sono alcuni premi però, che dopo aver analizzato anni delle loro scelte e della visione dell’arte che hanno espresso nelle loro cerimonie, assumono un valore speciale. Per me è il caso del Mercury Prize. Ecco, quest’anno Arlo Parks ha vinto il Mercury Prize e lo ha fatto con il suo disco di debutto. Ed è facile capire il perché. Personalmente per me lo meriterebbe solo per aver citato Zadie Smith nel titolo del disco, ma anche quello che viene dopo il titolo vale assolutamente la pena — anche perché la penna è, e mi lancio a dirlo, comparabile a quello della romanziera britannica.

Hayley Williams — Flowers for Vases / Descansos

Miglior canzone: Over Those Hills

Il secondo disco solista di Hayley Williams è forse il primo che suona veramente e unicamente come Hayley Williams. O meglio, rispetto al suo predecessore — a cui comunque è unito da una linea abbastanza grossa e che parte dalla denominazione estremamente simile tanto da farli sembrare dei gemellini — suona meno, se non quasi per niente, come l’ultimo disco dei Paramore, quello che ha permesso loro di fare il salto fuori dalla noia pop-punk ai panorami colorati e mai monotoni del pop-e-basta.

Goat Girl — On All Fours

Miglior canzone: Sad Cowboy

Il quartetto di South London ha effettuato una metamorfosi estremamente significativa tra il suo disco d’esordio e il suo successore in questo 2021. Il suono è stato smussato dalla presenza di sintetizzatori, e il ritmo sembra meno frenetico. Eppure l’obiettivo non viene perso di vista, e anzi si mantiene sempre ben preciso nelle menti della band, che fa centro anche stavolta.

slowthai — TYRON

Miglior canzone: PLAY WITH FIRE

Ho solo una recriminazione riguardo questo album. Una sola, sia pure gigantesca a suo modo: il tracklisting. Separare in maniera così significativa sia nell’ordine delle tracce sia nelle scelte stilistiche — la prima metà tutta in maiuscolo e la seconda tutto in minuscolo — la parte “incazzata” e quella “riflessiva” del disco è un’enorme sconfitta e rende il tutto un poco più monotono, anche perché, e va detto, la prima è migliore della seconda.

Claud — Super Monster

Miglior canzone: Overnight

Prima firma nella storia della Saddest Factory, la casa discografica di Phoebe Bridgers — e se la presenza a roster di Claud e anche delle Muna è indicazione di qualcosa, è che dovete dimenticarvi di sentire piccoli cloni di Phoebe Bridgers nella sua etichetta — nonché parte di una band insieme a Clairo nota come “Shelly”, Claud ha rilasciato il suo primo disco e possiamo dire che le melodie sono appiccicose come la Pepsi — titolo di uno dei brani del disco — quando cade sul pavimento e non viene pulita immediatamente.

Black Country, New Road — For The First Time

Miglior canzone: Instrumental

Ci sono momenti in questo disco, specialmente nella opening track, in cui hai sinceramente l’impressione di trovarti all’interno della colonna sonora di uno di quei vecchissimi film della Disney, nei momenti più convulsi e ricchi di avvenimenti della narrazione. In alternativa ti sembra di essere nel trip di un direttore d’orchestra e compositore medio-orientale. In entrambi i casi sono dei grandi complimenti, anche se potrebbero sembrare il contrario.

Julien Baker — Little Oblivions

Miglior canzone: Faith Healer

Julien Baker ha questa strana ma meravigliosa capacità di saper dire ogni frase di ogni sua canzone come se fosse l’ultima — e dunque la più importante per chi rimarrà in Terra — nella vita di un essere umano. E questo si unisce bene con una produzione e degli arrangiamenti che sono meno sparsi e minimali rispetto a quelli di Phoebe Bridgers — la cui voce suona più come una di quelle in cui potresti affondare — ma allo stesso tempo meno maestosi e facenti l’occhiolino al mainstream di Lucy Dacus — che invece ti da l’impressione di essere quella che hai bisogno di sentire in un momento particolarmente duro e difficile di una salita ad un rifugio di montagna.

Madison Beer — Life Support

Miglior canzone: Stained Glass

Non esisteva una possibilità che un disco che ho ascoltato così tante volte e che mi ha provocato così tanti patemi nella scelta del mio brano preferito al suo interno non finisse in questa lista, ma il posto è ancora più meritato nel momento in cui Madison Beer ci fa la grazia di venire a Roma in un luogo culturalmente abbandonato da ben prima della pandemia. GRAZIE MADISON. GRAZIE.

Bicep — isles

Miglior canzone: Fir

Per la ricchezza dei riferimenti, per la quantità di occhiolini inseriti praticamente in ogni angolo del disco, per la cura certosina del lavoro e per l’ambizione messa in mostra, non dovrebbe sorprendere a fatto venire a sapere che i Bicep, all’inizio della loro carriera, erano blogger che recuperavano deep cuts in vinile e ne parlavano per altri impallinati della materia. E infatti il sottoscritto, che certo era un po’ troppo giovane per aver vissuto in pieno quella fase, non sono stato poi sorpreso quando l’ho scoperto.

Lana Del Rey — Chemtrails Over The Country Club

Miglior canzone: Chemtrails Over The Country Club

Il primo è il migliore tra i due dischi di Lana Del Rey usciti nel 2021. Ma il secondo non è significativamente peggiore e anzi si merita una nota di merito: non è stato facile scegliere quale dei due inserire all’interno di questa lista. Alla fine si potrebbe dire che ha deciso il titolo, che è probabilmente l’immagine che Lana Del Rey desiderava inserire all’interno di un suo disco fin da quando ha adottato questo moniker. In effetti, potrebbe anche essere un modo eccezionale per sintetizzare quello che sembra essere dal punto di vista delle atmosfere la sua discografia.

Smerz — Believer

Miglior canzone: Believer

Il fatto che le origini di questo disco siano estremamente visibili, che siano indossate sulle maniche da Catharina Stoltenberger e Henriette Motzfeldt, il duo norvegese dietro allo pseudonimo Smerz, e che queste risiedano nella tradizione di fatto conterranea o comunque culturalmente affine dei Knife, non toglie nulla al fascino dell’esplorazione e della scoperta dei margini di questo disco, in cui è bello perdersi e farsi trovare disorientati.

Genesis Owusu — Smiling With No Teeth

Miglior canzone: Don’t Need You

La spiegazione breve di questo disco potrebbe essere: la risposta australiana ai Gorillaz (anche se l’accento australiano è quasi inesistente). La risposta lunga alla fin fine non va troppo a discostarsi da quella breve, quindi direi che può bastare. Forse ha solo bisogno di una piccola correzione: più che la risposta ai Gorillaz, come se il progetto di Damon Albarn fosse una domanda, sembra entrarci direttamente in dialogo, con loro ma anche con altre realtà come i Brockhampton.

Floating Points, Pharoah Sanders & The London Symphony Orchestra — Promises

Miglior canzone: Movement 6

Quanto si è rimasti sorpresi durante quest’anno per la notizia di questa collaborazione tra un dj e produttore di musica elettronica classe 1986, un sassofonista ultrasettantenne con una carriera iniziata venticinque anni prima la nascita del suo collaboratore e la fottutissima London Symphony Orchestra è esattamente l’indice di quanto ci si possa considerare esperti e familiari con le carriere e i percorsi degli artisti protagonisti di questa — splendida — collaborazione.

The Weather Station — Ignorance

Miglior canzone: Robber

Sinceramente? Sono stato conquistato al: band folk-pop esplora la crisi climatica con melodie quasi da classifica e arrangiamenti quasi indie-rock e rilascia un singolo che parla del genocidio delle persone e delle culture native americane da parte dei colonizzatori e la maniera in cui questo (non) venga insegnato nelle scuole nordamericane.

BROCKHAMTPON — ROADRUNNER: NEW LIGHT NEW MISSION

Miglior canzone: CHAIN ON (feat. JPEGMAFIA)

I Brockhampton dicono che questo è il loro ultimo disco. Io mi rifiuto di credergli. Anche se l’ennesimo trionfante successo non fa che aumentare la curiosità per capire in quale direzione possano andare tutti i membri del collettivo nelle loro carriere soliste.

Julia Michaels — Not In Chronological Order

Miglior canzone: All Your Exes

Non ho mai avuto una storia d’amore nella mia vita, figurarsi una finita male o con qualcuno che ne aveva avuto un buon numero prima di incontrarmi, eppure quando ascolto “All Your Exes” inizio ad odiare profondamente persone che non esistono e che pure entrano nella mia mente con tutti i contorni di una persona vera e propria il cui unico crimine è stato innamorarsi di una donna che, alla stessa maniera, non esiste ma di cui adesso sono innamorato io.

Squid — Bright Green Fields

Miglior canzone: G.S.K.

Nel risorgimento del post-punk britannico si vanno ad inserire anche gli Squid, che per loro sfortuna solo nella fase finale dell’anno si sono visti superare nella classifica degli Squid più famosi al mondo. Consumando questo disco fate estrema attenzione alle chitarre, sono taglienti come rasoi.

St Vincent — Daddy’s Home

Miglior canzone: Pay Your Way In Pain

Non sono l’unico che sente in “Pay Your Way In Pain” una quantità enorme di rimandi a “Fame” di David Bowie, specialmente per come la parola “Pain” venga modellata nella pronuncia esattamente alla maniera del “Fame” di bowiana memoria. Non dovrebbe sorprendere sia un accostamento volontario, anche perché Annie Clark sembra essere una delle poche persone in questo momento presenti al mondo che possa compararsi, per stile, creatività e controllo vocale, a Bowie.

Olivia Rodrigo — Sour

Miglior canzone: deja vu

Non pensavo sarei mai più andato in fissa con un disco e più in generale con un artista o band come mi capitò di fare cinque anni fa con Wild World dei Bastille. E invece ci sono cascato ma senza proprio alcuna speranza di uscirne. (btw, una collina su cui son disposto a morire è quella che la direzione intrapresa da deja vu è quella che sembra avere maggiori potenzialità anche se evidentemente il successo clamoroso dei singoli che l’hanno circondata porterà a privilegiare quelle altre due direzioni)

Mdou Moctar — Afrique Victim

Miglior canzone: Afrique Victim

Ok, una cosa incredibile. La musica di Mdou Moctar ha incominciato a circolare quando alcune sue performance a matrimoni sparsi in giro per il Niger sono state registrate su una scheda SIM. Non sono stato a molti matrimoni in vita mia, ma so qual è lo stereotipo sulla musica da piano bar che si può sentire in molte celebrazioni di questo tipo. Ecco, state tranquilli, questa roba non c’entra NULLA. Non andrete mai a dei matrimoni con così tanto groove.

Slayyyter — Troubled Paradise

Miglior canzone: Cowboys

Tutti i possibili volti dell’hyperpop in un disco solo, incluso il saltare con molta tranquillità sul trend western-country che si è fatto largo con grande veemenza nel post-Old Town Road — anche se, come vedremo, Lil Nas X è andato da tutt’altra parte.

Griff — One Foot In Front Of The Other

Miglior canzone: Black Hole

Al di là della confusione sul come definire questo progetto — il termine ufficiale è mixtape, ma direi che anche “EP” potrebbe essere utilizzato, ma certamente non “album” — è fuori di dubbio che il pop britannico abbia trovato il suo prossimo grande nome. Griff scrive già con la consapevolezza e le stimmate di una cantautrice esperta, eppure deve ancora arrivare alla sua prima prova sulla lunga distanza. “Black Hole” è ovviamente il singolone, ma i brani sono tutti fortissimi e sembrano avere tutti le capacità per sfornare buoni risultati in classifica. Sono pochi brani, ma sono anche tutti impeccabili.

Tyler, The Creator — CALL ME IF YOU GET LOST

Miglior canzone: LUMBERJACK

Nessuno si inventa alter ego ed è in grado di assegnare loro ruoli e storyline ben precise esattamente alla maniera di Tyler, The Creator. Nessuno lo fa così bene e così consistentemente da ormai quasi un decennio. In questo senso — ma anche in tutti gli altri — è un fenomeno assolutamente irripetibile.

Lucy Dacus — Home Video

Miglior canzone: Hot & Heavy

Un’altra maniera di raccontare l’adolescenza o comunque la crescita di una persona nel passaggio all’età adulta. Ogni singolo brano è legato ad un particolare anno d’età tra gli undici e i diciannove, anche se l’ordine con cui sono posizionati nel disco non è cronologico e soprattutto i riferimenti anagrafici non sono praticamente mai espliciti. Eppure, anche non essendo a conoscenza del concept che sta dietro a questo lavoro, è impossibile non riconoscere l’origine di questo progetto all’interno dell’adolescenza dell’autrice, anche perché molti di questi pezzi — e non solo la mia pick, ma anche un brano come Triple Dog Dare — sembrano usciti dalla colonna sonora di un coming of age movie.

Dry Cleaning — New Long Leg

Miglior canzone: Scratchcard Lanyard

Non so se mi fossi fatto esattamente un’idea di come possa essere Florence Shaw, la frontwoman dei Dry Cleaning, il nuovo fenomeno del post-punk britannico del 2021, come performer dal vivo. Poi ho visto la loro esibizione da Fallon, e improvvisamente ho capito che, qualunque cosa io abbia potuto immaginare, avrei avuto ragione. Perché era esattamente ciò che mi aspettavo. Di questo — e dei due dischi prima di questo in lista — ne ho parlato qui

Vince Staples — Vince Staples

Miglior canzone: ARE YOU WITH THAT?

Sarà per la produzione che risiede interamente sulle spalle di Kenny Beats, ma nel suo self-titled Vince Staples ha un suono più uniforme, forse coerente in ogni angolo del disco, ma questo non ne pacifica in alcun caso il potere distruttivo. Non suonerà complicato come alcuni dei suoi predecessori, ma non per questo non contiene anch’esso moltitudini.

Faye Webster — i know i’m funny hahaha

Miglior canzone: i know i’m funny hahaha

Lo è. Effettivamente, il disco è divertente, i testi fanno un uso sapiente dell’ironia e del sarcasmo, ovviamente quello della Gen Z, di cui Webster fa parte, anche se per poco, come si capisce dal titolo, che sembra la caption di un post su Instagram.

Bleachers — Take The Sadness Out Of Saturday Night

Miglior canzone: Stop Making This Hurt

Sbaglio quando mi sembra di notare che ci sia stato uno shift, quantomeno a partire da “Norman Fucking Rockwell”, nello stile che distingue le produzioni di Jack Antonoff da qualsiasi altra sulla faccia della terra? Tutto è molto più acustico, decisamente meno in your face, eppure allo stesso tempo comunque molto evidentemente di una delle persone che c’è dietro “Melodrama” e “1989”. Probabilmente rappresenta l’inizio di un trend più generale all’interno del pop in cui lui, essendo uno dei nomi più in vista dell’industria, si è ritrovato a lavorare, o forse semplicemente la via scelta da molte delle sue collaboratrici con risultati alterni — Lana Del Rey, Taylor Swift, Lorde, Clairo, St Vincent — è stata quella, e lui l’ha ritenuta soddisfacente anche per il suo progetto personale. Ma, almeno per me, il distinguo è evidentissimo.

Clairo — Sling

Miglior canzone: Amoeba

Fermi tutti, credo di essermi perso qualcosa. In che momento Clairo è diventata musicalmente l’erede spirituale di Elliott Smith più di quanto due generazioni di musicisti indie siano riusciti a fare in vent’anni? Comunque, quando mi riferisco al significativo shift in suoni all’interno delle produzioni di Jack Antonoff, mi riferisco anche e soprattutto a quello che sentiamo in questa sua prima collaborazione con la giovane cantautrice statunitense.

Dave — We’re All Alone In This Together

Miglior canzone: In The Fire

Non so in quale posizione della vostra classifica di rapper preferiti vada a finire Dave, ma credo ci possano essere pochi dubbi sul fatto che nessuno come lui sia in grado di raccogliere e creare così tanti momenti iconici. E poi in questo disco ha arricchito la sua raccolta di citazioni calcistiche e qualcuno un giorno dovrà pur farne un atlante — se volete io mi candido.

Billie Eilish — Happier Than Ever

Miglior canzone: Oxytocin

Quello che il sophomore di Billie Eilish perde nei confronti dell’esordio in quanto a disposizione della tracklist, che sembra avere un paio di punti in cui non sembra scorrere nella maniera giusta, lo guadagna in termini di crescita generale e di qualità dei pezzi. Non c’è un mood generale che sembra unire tutto anche nei suoni come nell’esordio, ma non è affatto una cosa che risalta, o comunque non lo fa negativamente. Per quel che riguarda il miglior pezzo del disco, suona quasi come se i fratelli O’Connell abbiano sentito il remix di ilomilo e abbiano detto “oh cazzo, dobbiamo fare noi qualcosa che faccia ballare, ma che sia anche molto più figo”

glaive — all dogs go to heaven EP

Miglior canzone: i wanna slam my head against the wall

Smettetela di fare i cazzo di boomer e andate ad ascoltare glaive — e magari andate a fermarlo prima che si faccia obnubilare troppo la mente da Travis Barker, vi prego, non potrei sopportare di sentire la sua esuberanza sprecata dietro quei chitarroni orrendi.

Little Simz — Sometimes I Might Be Introvert

Miglior canzone: I See You

Little Simz non aveva bisogno di un’altra prova per confermarsi la gigante che è ormai da un po’ di tempo. Ma ha deciso di farlo, e noi non possiamo che ringraziarla. Continuando a questo ritmo si ha l’impressione che possa tranquillamente arrivare a ridicolizzare l’idea stessa del “five album test”.

Indigo De Souza — Any Shape You Take

Miglior canzone: Hold U

È più facile abbandonarsi totalmente ed esclusivamente al genre-less musicale che si sta prendendo il 2021 e come lui gli anni che lo hanno preceduto e quelli che lo seguiranno quando si ha una voce e una capacità di descrivere in versi come quelle di Indigo De Souza che ti permetterebbero di drenare un intero bacino d’acqua grande un quartiere solamente con un’oretta scarsa di canzoni.

Halsey — If I Can’t Have Love, I Want Power

Miglior canzone: Girl Is A Gun

Ci è voluto un po’ ad Halsey per convincere il noto elitista e scettico del pop Trent Reznor, insieme al suo collaboratore Atticus Ross, a scendere in campo per dare a questa raccolta di canzoni sulla maternità e sulla costruzione stessa di cosa sia una donna nella nostra società la miglior confezione con cui presentarsi. Il disco è rinfrescante, prima di tutto perché, dopo dei primi album un po’ confusionari, Halsey mostra di aver capito cosa voglia fare da grande. E quello che viene fuori è una figata.

Orla Gartland — Woman On The Internet

Miglior canzone: Codependency

Posso immaginare — anzi, a dir la verità non ne ho bisogno perché è abbastanza evidente da un gran numero di testimonianze raccolte negli anni — che essere una donna su internet possa essere tutt’altro che “rinfrescante”. Eppure dovendo trovare una singola parola per definire le melodie di questo disco, io userei proprio quella: rinfrescanti.

Big Red Machine — How Long Do You Think It’s Going To Last

Miglior canzone: Renegade (feat. Taylor Swift)

Una cosa molto carina che succede in questo disco, oltre al ricordo di Scott Hutchison dei Frightened Rabbit in “Hutch”, è che Aaron Dessner per la prima volta nella sua carriera si prende il posto di vocalist solista in un brano di un suo progetto in “The Ghost Of Cincinnati” e, sinceramente, Aaron, perché non hai iniziato prima? Adesso mi fai pensare a come sarebbe potuta essere “Mercury” dei Planetarium — con tuo fratello Bryce ben coinvolto — con la voce tua al posto di quella di Sufjan Stevens.

Lil Nas X — MONTERO

Miglior canzone: INDUSTRY BABY (feat. Jack Harlow)

Qualora ci fosse qualcuno ancora convinto che Old Town Road fosse un colpo di fortuna, ecco che arriva il disco d’esordio di Lil Nas X, un artista che in due anni si è dimostrato in grado di aumentare significativamente il suo range, di mettere in mostra una creatività debordante e di mantenersi ben vivo all’interno delle nostre coscienze collettive dopo essere stato ufficialmente bollato come one hit wonder al quindicesimo remix del suo primo, gigantesco successo. Ma soprattutto, ha dimostrato di avere i brani alle sue spalle e di saper reggere il ruolo della popstar. E questo è un passo ENORME.

Baby Keem — The Melodic Blue

Miglior canzone: Scars

“Fin dal primo istante, il disco ti dà l’impressione di non essere necessariamente un lavoro pensato per questo pianeta, o almeno per essere ascoltato con davanti agli occhi i banali paesaggi terrestri. La produzione sembra nutrirsi del vuoto, dell’oscurità priva di luce. “The Melodic Blue” sembra il disco perfetto per inserirci una citazione presa direttamente da un episodio di Rick And Morty”. Si scriveva qua

Sam Fender — Seventeen Going Under

Miglior canzone: Seventeen Going Under

Il cantautore Geordie ritorna con il suo secondo disco e lo fa abbandonando i temi generazionali e il commento politico e rifugiandosi in una materia più personale ma non per questo meno urgente, e soprattutto, a giudicare dalla reazione a questo disco, tutt’altro che meno capace di risuonare forte e chiaro nella mente e negli animi del suo pubblico. Ci sono poche voci in grado di mettere in termini così facilmente comprensibili il dolore la sofferenza e gli stati d’animo conflittuali, e di scrivere ritornelli così springsteeniani che sembrano — e sono — perfetti per l’esperienza collettiva della musica live.

James Blake — Friends That Break Your Heart

Miglior canzone: Coming Back (feat. SZA)

L’anno scorso avevo profetizzato per James Blake un ritorno alle origini. E invece non mi sarei potuto sbagliare così tanto. James Blake ormai è un cantautore e produttore pop con una passione per costruire armonie complesse che non esistono da praticamente nessun’altra parte nel pop contemporaneo se non forse nella roba più da nerd estremo di Jacob Collier. Questo non vuol dire che mi piaccia di meno, anzi, forse da quando ho sentito “Are You Even Real” lo scorso anno è lo scenario che mi auguravo maggiormente per la sua carriera.

Kacy Hill — Simple, Sweet and Smiling

Miglior canzone: Simple, Sweet and Smiling

Kacy Hill aveva una strada diretta verso il mainstream. Ma nell’etichetta di Kanye ha perso di vista la sua strada, e ha passato del tempo nell’anonimato, a lavorare in un’azienda vinicola in Arizona. Poi è tornata. Questo è già il suo secondo disco dopo la rinascita, e si conferma un gioiellino indie-pop malinconico. Nel caso non si fosse capito, il titolo è ironico, almeno in parte, visto che l’album affronta le difficoltà della sua autrice con l’agorafobia.

PinkPantheress — to hell with it

Miglior canzone: Just For Me

Pitchfork ha deciso che a noi Zoomers piace la drum’n’bass, e PinkPantheress, comparsa grossomodo dal nulla nel bel mezzo di questo 2021 fino a diventare una delle artiste con più hype in una cultura musicale costruita sull’hype come quella britannica, è talmente una ragione importante per capire il perché di questa nuova passione generazionale che han pure ritenuto opportuno metterla in copertina del loro pezzo. E, bisogna dirlo, non hanno torto.

Snail Mail — Valentine

Miglior canzone: Valentine

Lindsay Jordan torna con il suo secondo album e non solo tutte le caratteristiche che rendevano unico il suo esordio sono ancora lì, ma l’abbandono del minimalismo in fase di produzione e l’abbraccio di nuovi suoni permettono di mettere a fuoco quanto ancora non fosse chiaro di uno dei principali talenti dell’indie rock contemporaneo

Laila Al Habash — Mystic Motel

Miglior canzone: Baby

Il fatto che questo sia l’unico disco non solo in italiano ma anche italiano in generale a finire in questa lista, dovrebbe bastare da solo senza bisogno di mie specificazioni a far capire che ci troviamo di fronte a quello che, personalmente, ritengo il miglior disco italiano dell’anno. Nel caso non si capisse, comunque, eccomi qui a precisare.

Magdalena Bay — Mercurial World

Miglior canzone: Dawning Of The Season

Per dirla in maniera più breve e concisa possibile: il più esaltante disco pop dell’anno. Metti il meglio di ciò che Carly Rae Jepsen ha da offrire insieme alla visione futuristica e alla ricerca sonora di SOPHIE, mettici il bubblegum più squisitamente anni ’90-’00 capace di uscire solo da brani con almeno due produttori scandinavi tra gli autori, e hai qualcosa pieno di materiale bello sentito già da altre parti e che pure riesce a suonare come nient’altro venuto prima.

Damon Albarn — The Nearer The Mountain, More Pure The Stream Flows

Miglior canzone: Royal Morning Blue

(non ho mai detto da nessuna parte che non sarei stato criptico)

Gracie Abrams — This Is What It Feels Like

Miglior canzone: Feels Like

Gracie Abrams è di fatto la mandante spirituale della più grande hit dell’anno, drivers license, con Olivia Rodrigo che ha confermato di averla scritta dopo aver pianto in macchina ascoltando l’EP minor del 2020. E infatti aprirà per la stessa Olivia Rodrigo nel corso del primo tour della sua carriera. La musica di Gracie Abrams è una tazza di cioccolata calda nel momento del bisogno, è confortevole sia quando parla con il cuore spezzato quando con il cuore ricolmo di gioia. E This Is What It Feels Like ne è la felice conferma.

JPEGMAFIA — LP!

Miglior canzone: Thot’s Prayer

La considero il miglior brano del disco solo per l’interpolazione di Baby One More Time di Britney Spears? Certo che sì, ovviamente, mi avete preso per un essere umano senza cuore? Ok, non è solo per quello, ma non crediate che non me ne sia accorto.

--

--

The Sad Stork

blog di musica e cultura pop | “but we’re the greatest, they’ll hang us in the louvre, down the back, but who cares, still the louvre”