I giochi del 2020 secondo Frequenza Critica

Le scelte della redazione.

Stefano “Revan” Castagnola
Frequenza Critica
17 min readDec 14, 2020

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I giochi del 2020 per Frequenza Critica

Inutile girarci intorno, il 2020 è stato un anno molto particolare, in molti casi addirittura tragico, e difficilmente quando in futuro torneremo col pensiero a questi mesi le prime cose che ci verranno in mente saranno i videogiochi che ci hanno tenuto compagnia durante il lockdown prima, le zone rosse, arancioni e gialle poi.

Nonostante tutto anche quest’anno non sono mancati titoli interessanti che hanno saputo mostrare diversi lati dell’industria, dagli AAA più maestosi agli indie più originali. Noi di Frequenza Critica abbiamo messo le mani su dozzine e dozzine di giochi, i nostri scrittori hanno potuto cimentarsi in esperienze molto diverse, passando per incredibili successi e trionfi, ma anche da qualche delusione inaspettata.

La lista che state per leggere è un po’ il riassunto di questo 2020 visto attraverso gli occhi della nostra redazione, e ci troverete tutti quei videogame che, grazie alle proprie qualità, sono riusciti a lasciare il segno e a inserire il proprio nome fra quello delle migliori uscite dell’annata.

Le scelte di Marco “Thresher” Accogli

Il 2020 non mi ha riservato grandi sorprese, ma la qualità media è stata senz’altro elevata. DOOM Eternal è stato un buon passatempo, seppure incapace di reggere il confronto col precedente capitolo, Tell Me Why non si sforza di uscire dalla solita struttura alla Telltale e The Last of Us: Part II mi ha appagato a livello di meccaniche di gioco, ma l’ho trovato privo di quella scintilla capace di scolpirlo indelebilmente nella mia memoria.

Screenshot di Ori and the Will of the Wisps

Scintilla che ho trovato in Ori and the Will of the Wisps, che mi ha stupito per la cura certosina riposta in ogni suo aspetto. Struttura da metroidvania come solo il miglior Metroid sa fare, presentazione e impatto visivo senza eguali, movimenti morbidi e precisi che rendono Ori una naturale estensione del controller e un rapporto tra sfida ed esplorazione bilanciato alla perfezione.

Trovo il titolo di Moon Studios fin troppo trascurato in rapporto alla sua qualità, probabilmente a causa del suo legame col brand Xbox, negli ultimi anni piuttosto malvisto dai videogiocatori. Ciononostante, Ori and the Will of the Wisps merita tutta l’attenzione che è possibile dedicargli, perché sono pochi i titoli che possono realmente fregiarsi dell’appellativo di GOTY al netto delle tifoserie da piattaforma.

Le scelte di Stefano Lucchi

Devo essere sincero, sto finendo di giocare a Clannad e lo reputo il mio personale gioco di quest’anno, sia perché mi sta piacendo tantissimo, sia perché la riedizione Switch (un pochino diversa da quella Steam di qualche anno fa) è sì del 2019, ma la pubblicazione fisica di Limited Run Games che sto giocando adesso è arrivata soltanto in questi ultimi mesi a causa della pandemia. Bisogna però considerare che il gioco effettivamente non l’ho ancora finito ed è comunque la riedizione di un gioco del 2004… motivo per cui i colleghi dubito mi passerebbero la scelta.

Screenshot di Murder By Numbers

Premesso questo, purtroppo per me questo è stato un anno dove non sono ancora riuscito a recuperare molti titoli che avrei voluto giocare (primo su tutti il secondo Ori), e quello che ho giocato si è rivelato al di sotto delle aspettative oppure buono ma non abbastanza da essere nominato tra i “Game of the Year”. La mia scelta, di conseguenza, è Murder By Numbers, un’avventura/puzzle game di Mediatonic (quelli che successivamente hanno pubblicato la hit Fall Guys) dalla direzione artistica deliziosa e dalla cura generale molto buona, che mi ha coinvolto molto e che è passata criminosamente fuori dai radar ai tempi della sua uscita, tanto che pure qui su Frequenza Critica non gli abbiamo dedicato più spazio di una semplice recensione breve per i nostri canali social.

So in ogni caso che altri colleghi della redazione l’hanno giocato e apprezzato, perciò approfitto di questa possibilità per invitarvi a provarlo: merita di avere per lo meno un’occasione.

Le scelte di Fabrizio “Bix” Salis

Penso che chi mi conosce in questo 2020 mi abbia odiato perché ho passato tutto il tempo a lodare quasi esclusivamente due giochi. Il primo è Outer Wilds, che ci tenevo a citare nonostante sia del 2019, il secondo invece non può che essere il mio amato Flight Simulator. Le ragioni? Non solo è un ritorno in grande spolvero di una serie storica che mancava da troppi anni, ma ha anche portato un avanzamento tecnologico che le console di nuova generazione per adesso si possono solo sognare.

Screenshot di Flight Simulator

Non voglio dilungarmi troppo, visto che ne ho già parlato in maniera approfondita non una ma ben due volte. La produzione di Asobo mi dà il pretesto per assegnare un altro “premio”, che però non va a un singolo gioco, ma a centinaia di produzioni in contemporanea. Il riferimento è chiaramente al Game Pass di mamma Microsoft (nella sua variante PC per l’esattezza), che nel corso di questo anno mi ha permesso di mettere le mani su un discreto numero di titoli meritevoli, al day 1 e senza spendere grandi cifre; Ori and the Will of the Wisps, Halo: The Master Chief Collection, Spiritfarer e Tell Me Why sono alcuni degli esempi più memorabili da questo punto di vista. E c’è ancora tantissima roba a cui mi devo ancora dedicare, tra marine perennemente arrabbiati e congiure di corte che neanche Game of Thrones.

Chiudo con una menzione speciale per un gioco che sono stato ben felice di acquistare a prezzo pieno il giorno dell’uscita: The Suicide of Rachel Foster. Si tratta di una produzione tutta italiana che si rifà parecchio alle atmosfere dello Shining di kubrickiana memoria e che racconta una storia emozionante e terribile, capace di rimanere impressa nel profondo. Ok, in fin dei conti è un walking simulator, ma uno di quelli fatti bene.

Le scelte di Marco “Brom” Bortoluzzi

Uno dei tradizionali punti di blocco per chi non apprezza l’approccio roguelike è riassumibile in due parole: game over. L’idea che, una volta sconfitti, i nostri progressi si disperdano (parzialmente, se non altro) come paglia al vento, e tocchi ripartire ancora una volta dal punti d’inizio. Hades, però, sceglie di adottare un approccio intelligente alla drammatica fine dei nostri sforzi: la morte e la rinascita non sono solo una meccanica, ma sono integrate pesantemente nell’impianto narrativo. Finire il gioco senza mai morire significa, paradossalmente, scoprirne solo una minima parte. Ad ogni sconfitta, nella regale reggia di Ade ci attenderanno nuovi dialoghi con i carismatici personaggi di Supergiant, tramite i quali scopriremo di più su di loro, su Zagreus e sul suo divino padre.

il protagonista di Hades

È il concetto di “failing forward” applicato al videogioco: l’idea che fallire nella nostra impresa non sia un semplice tasto reset della nostra condizione, ma una cosa normalissima in questo reame dei morti dove la morte non dura mai a lungo. In un mondo videoludico dove tanti promettono di offrire esperienza “hardcore”, che mettano alla prova il giocatore con mondi ricchi di asperità dietro ogni angolo, Supergiant prende la strada opposta, rendendo la sconfitta non un tragico fallimento, ma uno dei tramiti per la prosecuzione della storia.

Questo, ovviamente, da solo non basterebbe a renderlo un candidato per il titolo di “gioco dell’anno”. Hades però è anche (personale opinione, questa) il miglior gioco prodotto finora da Supergiant, con un gameplay entusiasmante e che non pecca di una varietà di stili, una storia curata, personaggi intriganti, un design fenomenale e (ma da questo punto di vista Supergiant ormai ci ha un po’ viziati) una colonna sonora incredibile. Peccato solo per una varietà di ambienti e nemici non eccelsa, ma la perfezione non esiste.

Le scelte di Stefano “Revan” Castagnola

In un anno complicato per i motivi che tutti conosciamo, il meglio per me sarebbe dovuto arrivare alla fine, con l’attesissimo Cyberpunk 2077, che dopo tantissimi anni di uno sviluppo evidentemente travagliato è finalmente arrivato. C’ho giocato poco finora, però, abbastanza per notare che avrebbe sicuramente beneficiato di un ulteriore rinvio, non abbastanza per esprimere un giudizio, in un senso o nell’altro.

Wasteland 3 e il suo inverno post-apocalittico

I giochi che quindi si contendono la mia personale palma di migliore del 2020 (ovviamente tra quelli che ho potuto provare) sono due su cui alla vigilia non avevo particolari aspettative. Il primo è Wasteland 3, seguito di quel Wasteland 2 che non mi aveva affatto convinto e ultimo lavoro di una software house che fino a ora non aveva saputo sfornare giochi di ruolo di mio gusto. Wasteland 3, però, si è dimostrato di ben altra pasta, un GDR tattico con combattimenti divertenti, un’ambientazione affascinante e che si allontana dai soliti stereotipi dell’immaginario post-apocalittico e con molte scelte da compiere, in certi casi neanche banalissime.

L’altra sorpresa è arrivata da Ghostrunner, gioco d’azione cyberpunk in prima persona in cui impersoniamo un agile e scattante (pur se piuttosto fragile, un solo errore è sufficiente per giungere al game over) ninja cibernetico armato di katana e di qualche abilità speciale, con cui percorrere corridoi e arene popolate da nemici da affettare rapidamente e ostacoli da superare saltando da una parete all’altra. Un gioco adrenalinico e intenso ma anche molto appagante, in cui si muore spesso ma senza troppa frustrazione (nonostante alcuni problemi di clipping da risolvere) per via dei caricamenti veloci e dei checkpoint frequenti. A condire il tutto una direzione artistica assolutamente memorabile, un’ottima colonna sonora e una storia che forse non rimarrà scolpita indelebilmente nelle nostre memorie ma che a suo modo sa comunque coinvolgere. Il modo migliore di appagare la voglia di cyberpunk prima di mettere le mani sul gioco di CD Projekt… e forse anche dopo.

Le scelte di Ioannis Largo

Gioco del 2020? Ma videogioco giocato nel 2020, o pubblicato nel 2020? Ah, pubblicato! Fammi pensare. Può sembrare strano e a tratti patetico, ma a causa del tempo tiranno e soprattutto di un personal computer vecchio con annesso portafoglio perennemente vuoto, non mi è permesso godermi i titoli attuali tripla-quadrupla A. Sì, ci sono gli indie, ma personalmente buona parte dei titoli indie non mi interessano.

Immagine di Chef: A Restaurant Tycoon Game

Ritornando al discorso del 2020 posso limitarmi a citare una demo e un gestionale tutto italiano. Chef della italiana Inner Void Interactive ha concluso la beta pubblica nella scorsa estate, quindi dovrebbe valere come pubblicazione effettiva nel 2020, o no? Simpatico gestionale a tema culinario-gastronomico. Buon gioco con diverse meccaniche interessanti, grafica che si rifà tanto a MySims e ad Animal Crossing, forse non adatto a tutti i palati.

Suzerain della Torpor Games è un government simulation nella forma di un narrative game, dove interpreteremo il neoeletto presidente del Sordland. La piccola demo mi aveva assai intrigato, in particolare le meccaniche e la promessa di conseguenze per le nostre scellerate azioni politiche. Doppio intrigo dato che sto letteralmente studiando l’universo dei librogame, dopo la mia esperienza con AiDungeon. Ritornando a Suzerain, mi ero ripromesso che se fosse stato pubblicato a un prezzo accessibile lo avrei preso sicuramente. Cosa che ho puntualmente fatto.

Le scelte di Daniele “Alteridan” Dolce

Un anno in cui ho giocato più del solito, questo 2020, superfluo dire il perché. Eppure devo ammettere di essere di essere rimasto un filo insoddisfatto dai videogiochi usciti negli ultimi dodici mesi. Al di là di Ori and the Will of the Wisps, mio personalissimo “Game of the Year” per motivi che non sto qui a ripetere (ma che potete leggere nella mia recensione per TGM e nell’approfondimento che ho scritto qui su Frequenza Critica), va detto che sono stati pochi i titoli che ricorderò guardando indietro a questo anno funesto. Certo, ci sarebbe un certo gioco di ruolo al neon uscito proprio in questi giorni, ma è impossibile farsi un’idea di un titolo così vasto in poche ore.

Un’immagine di Monster Train

In linea di massima, il 2020 lo ricorderò più che altro per le delusioni, vedi Necromunda, l’ultima espansione di Destiny 2, oppure l’appena discreto Carrion. Eppure, questo è stato anche l’anno in cui ho scoperto la mia nuova droga, quel Monster Train che a intermittenza occupa i momenti delle mie giornate.

Ecco, il roguelite di Shiny Shoe è stato fin qui una costante della mia vita, una sorta di rifugio nelle giornate più grigie. Mi è bastato indossare le cuffie, sparare al massimo i Foals o i Porcupine Tree (in caso consiglio rispettivamente Neptune e Arriving Somewhere But Not Here per una partitina veloce) e avviare Monster Train per raggiungere la pace dei sensi, così da dimenticare — seppure per una manciata di minuti — l’infausto periodo che stiamo tutti vivendo. Peccato che poi la musica si fermi, e con essa anche la folle locomotiva piena zeppa di mostri.

Le scelte di Diego “Syd” Cinelli

Il mio gioco dell’anno? Ci ho pensato e la risposta… mi ha un po’ stupito. Diverse cose mi sono passate sotto mano quest’anno, ma stavolta devo premiare lo studio che è riuscito a tenermi incollato più ore davanti allo schermo, ovvero Team Ninja. Nioh 2 ha superato le aspettative non solo per la qualità del gioco in sé, ma anche e soprattutto per la modalità multigiocatore, che mi ha dato modo di affrontare più e più volte tutte le missioni dei vari NG+ in compagnia dei miei amici.

Screenshot di Nioh 2

Quando ho avuto a che fare con quello splendore che era (ed è) Bloodborne, dissi che se il sistema dei dungeon procedurali fosse stato accompagnato da una modalità multigiocatore decente probabilmente non avrei mai smesso di giocarci. Beh, in questo 2020 è successo esattamente questo con Nioh 2 e i suoi DLC.

Lo so, il grinding è estenuante e Team Ninja ha dimostrato di non voler affatto semplificare il percorso verso la build perfetta. Anzi, aggiornamento dopo aggiornamento è diventato sempre più difficile e ripetitivo. Ma è proprio qui che il multigiocatore ha dato un apporto fondamentale: io e miei compagni ci siamo spinti a vicenda — e continuiamo a farlo!

Il sistema di combattimento della serie soulslike di Team Ninja, con le tre posture di combattimento e la possibilità di concatenare tra loro numerose tecniche, rende gli scontri interessanti. In più, Nioh 2 offre una libreria enorme di informazioni sul folclore giapponese, che permettono di scrutare più a fondo tra le storie che hanno forgiato l’ambientazione di questa crudele avventura.

Le scelte di Luca “Jonsy Duke” Polletta

In questo rigido inverno del 2020, a tenermi occupato nelle fredde ore serali non c’è soltanto l’atteso Cyberpunk 2077. Spelunky 2, sequel del tanto amato (ed egualmente odiato) Spelunky di Derek Yu, ripropone la particolare miscela tra roguelike e platform che non ammette errori aggiungendo quel tanto che basta per non stravolgere ma anzi arricchire la formula originale.

Screenshot di Spelunky 2

Chiunque si addentri nei livelli generati proceduralmente dovrà esplorare vaste e intricate aree piene di bivi e vicoli ciechi da aggirare o semplicemente abbattere in base alle sempre mutevoli circostanze. Circostanze che comprendono anche la presenza di nuovi nemici con abilità e attacchi letali, come pure compagni di avventura con cui interagire per ricevere un aiuto concreto. Non mancano nemmeno numerosi nuovi oggetti tutti da scoprire e di cui comprendere i vari utilizzi e gli effetti che hanno sui nemici e sull’ambiente circostante.

Arrivare vivi fino alla fine di una partita è un’impresa ardua, tanto per chi si avvicina a questo titolo per la prima volta quanto per chi ha già avuto a che fare con il mondo di Spelunky. Un’impresa che comprende parecchie morti, molta frustrazione e addirittura qualche tastiera o pad lanciato contro il muro. Nonostante ciò si continua ad iniziare una nuova partita con la consapevolezza di migliorare poco a poco, fallimento dopo fallimento, errore dopo errore.

Un meraviglioso circolo vizioso da amare oppure odiare, ma assolutamente da giocare.

Le scelte di Lorenzo “Dyni” Sarno

Il 2020 è stato un anno abbastanza deludente per me, ma ha comunque trovato il modo di brillare grazie all’eccellente design procedurale di Spelunky 2, alla bizzarra investigazione di Paradise Killer e alle tematiche strappalacrime di Necrobarista. Ho già parlato di come Spelunky 2 combini immediatezza e profondità in un mix esplosivo pieno di segreti, sistemi che interagiscono in maniera fluidissima e platforming preciso al millimetro, e di come Paradise Killer porti al tavolo per la prima volta un’investigazione veramente libera, graziata da uno stile eccentrico e da personaggi memorabili.

Artwork di Necrobarista

Necrobarista, invece, è una visual novel australiana dove entreremo nel bar di Maddy Xiao, uno strano posto che offre da bere a vivi e morti, questi ultimi di passaggio prima di andare nell’aldilà. Quella che inizialmente sembra una storia sulla mortalità dai toni carismatici e tutto sommato allegri, complici uno stile visivo accattivante e un writing di alto livello, devia molto presto dalle aspettative e si indirizza verso le difficoltà del lasciare andare, con una colonna sonora eccezionale ad accompagnare i momenti più toccanti.

Non è il tipo di gioco che sono bravo a recensire (sono una persona semplice e non abbastanza intelligente per trattare temi più elaborati), motivo per cui non ne ho parlato prima, ma quando ho finito Necrobarista avevo le lacrime agli occhi, e non è una cosa che mi capita spesso.

Le scelte di Luigi “abyssent” Peccerillo

Non devo pensare molto a qual è il gioco che più mi ha impressionato quest’anno, la risposta è semplice: Spiritfarer. Nei panni di una ragazzina di nome Stella e del suo gatto Daffodil, prendiamo il posto di Caronte e diventiamo dei traghettatori di anime, pronti ad accompagnare all’Eterna Porta gli spiriti che sono pronti a lasciare il mondo di Spiritfarer. Per fare ciò ci serviremo di un vascello che diventerà una piccola comunità man mano che accogliamo a bordo gli spiriti e costruiamo abitazioni e strutture di ogni tipo (da un campo per coltivare i cereali a una fucina per lavorare i metalli).

Copertina di Spiritfarer

Spiritfarer è un gestionale con un’anima radiosa e avvolgente. Thunder Lotus Games ha creato un mondo meraviglioso e vivace da esplorare, capace di impressionare il giocatore a partire da una direzione artistica ispiratissima. Ci troviamo di fronte a un disegno che riesce a caratterizzare e a raccontare ogni luogo, ogni azione, ogni personaggio. È semplicemente meraviglioso guardare Stella nei suoi avvitamenti in aria mentre salta, mentre accarezza Daffodil, o mentre è alle prese con una macchina per cucire. Per la prima volta videogiocando, ho sentito quel calore e quelle sensazioni che solo i film dello studio Ghibli riuscivano a emanare. E Spiritfarer è questo, la cosa giocabile più vicina a un film di Hayao Miyazaki.

Stella guarda il mondo circostante con gli occhi di una ragazzina, di conseguenza tutto è visto e presentato come un gioco e un motivo per far festa. Disporre le costruzioni sulla barca è come giocare a Tetris, assecondare le richieste dei nostri passeggeri ci porta a inseguire strane creature o a raccogliere meteore splendenti che piovono dal cielo come fuochi d’artificio. Spiritfarer ci parla della vita in modo semplice, spontaneo e commovente; ci riesce grazie a dei personaggi primari e secondari vivi e credibili, i quali sono come finestre dalle quali possiamo scorgere l’eccezionale complessità della vita. Il mare che solchiamo a bordo della nostra nave è un mare di ricordi dal quale peschiamo chi ci ha accompagnato nel corso della vita, per rivivere ancora una volta ciò che è stato e concedersi un ultimo immenso abbraccio prima di lasciarsi per sempre.

Le scelte di Luca “Master Hayabusa” Sapora

Di solito passo decisamente più tempo a recuperare giochi del passato che non a stare dietro a ogni singola novità, e il risultato è che alla fine di ogni anno difficilmente ho una visione completa, pur cercando di non perdermi proprio tutto. Questo 2020 è stato per me l’anno dei sequel, come evidente dai tre titoli che andrò a citare, che in modi diversi prendono l’ottima base dei precedenti capitoli e ci costruiscono su: Ori and the Will of the Wisps, DOOM Eternal e The Last of Us Part II.

Copertina di Doom Eternal

Ori, come spiegato nell’articolo di Harlequin, mantiene gli elementi che già avevano fatto la fortuna di Blind Forest (la fenomenale direzione artistica, le musiche di Coker, il platforming di altissima caratura, la storia fiabesca ma toccante) e smussa i pochi punti deboli, come il sistema di combattimento e la vivacità del mondo di gioco, risultando uno dei migliori metroidvania moderni. DOOM Eternal mi ha colpito per il suo essere un titolo che fa pochi compromessi e richiede tanto dal giocatore, piena attualizzazione della filosofia di design di Hugo Martin, riassumibile così: la power fantasy va guadagnata. La maggior stratificazione delle meccaniche ha finito con l’alienare alcuni fan del precedente capitolo, per legittimi motivi, ma personalmente non posso che applaudire id Software per quello che considero il miglior sparatutto della generazione.

Poi c’è The Last of Us Part II, che è una bestia completamente diversa. Un mastodonte mediatico, uno dei titoli più celebrati e al tempo stesso divisivi di sempre, un’opera ambiziosa ma non per questo inattaccabile. Ludicamente un ibrido shooter-stealth-survival rifinitissimo, accompagnato da un level design eccellente e variegato; narrativamente un gioco che vuole narrare di violenza e vendetta, ma soprattutto di tribalismo e rappresentazione dell’Altro. Non sempre le due cose vanno di pari passo, ma quando lo fanno il risultato non è affatto da disprezzare. In chiusura voglio fare un paio di menzioni a giochi che non ho ancora giocato: da estimatore dei Supergiant ho grosse aspettative sul celebratissimo Hades, che recupererò a breve… e poi ovviamente c’è la “big thing” del momento, il titanico Cyberpunk 2077, che mi prenderà per queste ultime settimane del 2020 e plausibilmente anche oltre.

Le scelte di Mattia “Harlequin” Mangano

Il 2020 per me è stato all’insegna del backlog, ma ho comunque trovato un posticino per un’ottima uscita recente: Ori and the Will of the Wisps, un piccolo grande punto a favore dell’annata. Il seguito di Moon Studios è un altro grande metroidvania, sempre incentrato su un platforming di alta qualità all’insegna di ritmo, riflessi e fluidità come il celebre The Blind Forest. Ma ci sono anche novità, tra cui un combat system ridisegnato da zero, dotato di maggiore profondità e in grado di supportare diversi stili di gioco e anche vere e proprie boss fight.

L’attesissimo Cyberpunk 2077

Chi cercava un mondo più popolato e vivo potrà fare la piacevole conoscenza di tanti nuovi personaggi, impegnati nei loro affari e pronti ad affidarci semplici incarichi. Pure la narrazione evolve, conservando la struttura fiabesca semplice e toccante ma facendo maturare i personaggi e il peso delle loro responsabilità. La direzione artistica incantevole incornicia il tutto. Un gioco che resta nel cuore, sia per l’eccellente divertimento che per la forte commozione che scioglierà anche gli animi più burberi.

In questo momento sono invece alle prese col ben più possente e ambizioso Cyberpunk 2077… un gioco che forse è pure troppo ambizioso. È ancora presto per giudicare, ma al di là degli importanti problemi tecnici il titolo polacco mostra il fianco a diverse critiche, come l’origine del nostro personaggio incredibilmente striminzita, la caratterizzazione di V un po’ troppo invasiva, il loot gargantuesco nella quantità tanto quanto nell’inutilità. Vediamo se col passare delle ore e sintonizzandomi a dovere col gioco scoccherà la scintilla, ma per ora, pur mostrando ottime qualità, deve ancora convincermi. Di certo le aspettative create dalla stessa CD Projekt nel corso del tempo sono state abbastanza fuorvianti. Ora scusate, scappo che si è appena liberato un posto su GeForce Now, vera ancora di salvezza per il mio PC che in una notte è invecchiato di dieci anni.

Ed eccoci qui alla fine di questo nostro lungo viaggio a ritroso per il 2020 con tutte le sue uscite più interessanti, o per lo meno che hanno saputo catturare meglio l’attenzione della nostra redazione. L’anno volge ormai al termine, quindi non rimane che concentrarsi su ciò che ci attende nei prossimi dodici mesi, con la speranza di avere tanti altri bei giochi di cui parlare — e magari anche qualcuno in più, perché no.

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Stefano “Revan” Castagnola
Frequenza Critica

Si è innamorato dei giochi di ruolo esplorando la Costa della Spada tra l’Amn e Baldur’s Gate, ma non disdegna anche altri generi di avventure.