Suzerain: una prospettiva nuova sulla libertà di scelta

La libertà per un presidente solitario.

Ioannis Largo
Frequenza Critica
11 min readMar 1, 2021

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In occasione del festival LudoNarraCon 2020 ho avuto il piacere e l’obbligo di provare la demo di Suzerain della Torpor Games. Voi lettori cliccate QUI, così da leggere le mie riflessioni a riguardo.

Odio ripetere le stesse cose, ma questa demo catturò la mia viziata attenzione, benché fosse molto breve e soprattutto lasciasse diversi dubbi sulle poche meccaniche mostrate. Recentemente ho acquistato Suzerain ed è tempo di dare un giudizio completo.

Se voi avete letto i miei articoli, ben sapete che il mio giudizio arriva alla fine dell’articolo, dopo la descrizione delle caratteristiche del gioco, varie riflessioni personali e diversi aneddoti, questi ultimi per la maggior parte composti da semplici fantasie o peggio da delusioni psicotiche.

Questa volta no.

Suzerain è un titolo piuttosto originale, ben fatto, destinato a un ampissimo pubblico grazie a una semplice interfaccia e a un’ottima scrittura.

Mio consiglio spassionato è quello di fare sessioni brevi e di utilizzare un blocco per gli appunti o di sfruttare quello virtuale del gioco, perché ci sono tantissime informazioni da memorizzare. Una lunga sessione, spinta dall’entusiasmo e dalla semplice interfaccia di gioco, potrebbe farvi cadere in errori di calcolo politico e narrativo, con conseguenze devastanti.

Ah, dimenticavo una cosa. Devo rimangiarmi una cosa detta nell’articolo dedicato alla demo.

Suzerain non è un simulatore di governo.

Un presidente che non è un presidente

Questa affermazione nasce dalla riflessione su diversi articoli pubblicati su Frequenza Critica, in particolare il lunghissimo speciale in sette parti del nostro invincibile Dama, intitolato “Per una tassonomia videoludica intelligente” e quello in due parti di Francesco Toniolo intitolato “Una leva per spostare il mondo”. Vi rimando alla lettura di tali articoli e vi anticipo che Suzerain ha pochissimo in comune con i simulatori di governo della generazione precedente, come Shadow President o Democracy.

La differenza principale tra Suzerain e questi titoli è la percezione del giocatore. Nei simulatori di governo il giocatore interpreta la massima carica di un qualsiasi regime politico, ma è praticamente un essere divino in grado di agire nello spazio e nel tempo, consapevole di essere privo di un qualsiasi limite ai suoi sensi virtuali, così da poter disporre di innumerevoli informazioni oggettive in un breve lasso tempo o addirittura di essere a conoscenza delle conseguenze delle sue scelte già prima di compierle. I ministri, i collaboratori, i consiglieri del gioco sono semplicemente dei mezzi per facilitare la gestione delle numerose informazioni; privi di qualsiasi autonomia o di qualsiasi pensiero critico, questi ci mostreranno le informazioni in nostro possesso o le scelte che dobbiamo affrontare, mai agiranno in autonomia, anzi raramente reagiranno alle nostre scelte scellerate. Basti pensare che in Shadow President solo la decisione del lanciare testate nucleari a casaccio portava le dimissioni dei ministri, anticamera di un game over composto dall’impeachment e soprattutto dalla trasformazione della celeste terra in una desolata landa nucleare con consiglio di giocare a Fallout o di sentire le migliori hit di Renzo Arbore.

Tutto ciò è assente in Suzerain.

Il giocatore interpreterà un presidente uomo, non un presidente dio, che dispone di informazioni provenienti dai ministri, ma anche dalla stampa o da piccoli prospetti riepilogativi. Ignorare un articolo di giornale o uno dei prospetti implica il limitare ancora di più le informazioni in nostro possesso e la percezione di tutto quello che succede attorno a noi. I nostri ministri e le maggiori cariche politiche del nostro Sordland hanno una propria autonomia e ci comunicheranno le informazioni che noi chiederemo o che loro vogliono comunicarci. Brevemente e brutalmente, una buona parte delle informazioni mostrate non sono dati pienamente oggettivi, ma soggettivi prodotti da fattori distinti totalmente da noi.

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Sei sono i quotidiani del Sordland, di diverso colore ed ideologia.

Nell’articolo dedicato alla demo affermai che titoli come i Tropico o i cinque grandi della Paradox possono essere giudicati come eredi spirituali dei precedenti simulatori di governo. Anche tra questi titoli e Suzerain c’è una sostanziale differenza. In Suzerain, la nostra prospettiva è limitata nella soggettività delle informazioni raccolte, ma anche concretamente nella spazialità: non abbiamo gigantesche schermate o mappe limitate esclusivamente dalla canonica fog of war, non vedremo immediatamente (e graficamente) le conseguenze delle nostre scelte. Realisticamente le nostre scelte hanno conseguenze lungo il tempo e possono essere influenzate da diversi fattori, da imprevisti e da altre scelte effettuate prima o dopo.

Le conseguenze di queste nostre scelte non saranno immediatamente quantificabili, ma di tutto ciò ne parlerò più in avanti. Anticipo solo che i Torpor Games hanno implementato un unico salvataggio che si sovrascrive, quindi mai possiamo approcciare la vecchia e comfy pratica del trail & error e del reloading selvaggio; inoltre non esiste una good ending o una good path. Questo non implica che Suzerain sia un rougelike narrativo, perché è assente qualsiasi generazione procedurale, impossibile da implementare in un gioco di questo genere; bisogna applaudire agli sviluppatori della Torpor Games nel costruire, anzi nello scrivere, un gioco profondo che mai sembra banale.

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Mentre continuavo a giocare a Suzerain, riflettevo a quale gioco fosse simile. Con sommo orrore e pure con un colpevole piacere mi resi conto che Suzerain era simile a due giochi: King of Dragon Pass e soprattutto a Kichikuou Rance.

La Scelta

Mentre voi vi riprendete per la parte finale del paragone e qualcuno va a prendere i sali per Dama, è necessaria fare una piccola digressione sulla libertà di scelta nei videogiochi.

Dagli anni Ottanta, anzi dall’alba dei tempi videoludici o dai lontani antenati analogici dei librogame, i diversi autori hanno provato a concedere una libertà di scelta al giocatore arrivando anche a permettergli di poter plasmare la storia e l’ambientazione con le sue scelte e di affrontarne le conseguenze. Ovviamente, regola d’oro dal tempo dei giochi di ruolo cartacei, è che “non sai mai cosa entrerà da quella porta”: potrai prevedere milioni di scenari possibili, ma il giocatore sempre uscirà con un’idea tanto logica quanto malsana, che sconvolgerà il tutto arrivando a distruggere trama, ambientazione e pure il regolamento.

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Diverse sono state le scelte adottate, ognuna con i propri pregi e difetti. Alcuni rougelike o un vecchio Darklands concedono mille scelte e una semplice trama, ovviamente l’elevata difficoltà del gioco spinge il giocatore a fare determinate scelte, pena il canonico game over. Un approccio tipico anche in diversi giochi di ruolo: il primo Fallout e New Vegas o i Gothic puniscono il giocatore che liberamente andava gironzolando, piazzando nemici potenti e giustificandoli coerentemente , roba del tipo “ehi giocatore sei libero di andare dove vuoi, ma non frignare se poi gli orchi gonfi di steroidi o le vespe vasaie gonfie di steroidi prendono a calci il tuo culo privo di steroidi”. Sul piano narrativo Tyranny, Planescape Torment, Arcanum, New Vegas, Baldur’s Gate hanno provato a implementare una libertà di scelta nello sviluppo della trama, ma spesso limitata al conseguimento del finale oppure ai rapporti con i nostri compagni di avventura. Sempre rimanendo nei giochi di ruolo, la libertà di scelta è caratterizzata dal diverso approccio nell’affrontare una particolare situazione di gioco; ovviamente difficoltà sta nel sospendere l’incredulità del giocatore attraverso l’immedesimazione nel personaggio e fargli dimenticare la dura legge delle caratteristiche e delle tabelle riepilogative. Qualche volta ha funzionato (Vampire: The Masquerade, Deus Ex) qualche volta meno (Fallout, Wasteland).

I Grand Theft Auto, favoriti dal genere action e quindi dalla necessità di non puntare sulla trama e sulla coerenza intera, concedevano un’enorme libertà al giocatore, libertà che era semplicemente lo sfasciare la città e i suoi cittadini. Negli anni i GTA e i suoi epigoni dovevano proporre una libertà che mai annoiasse, quindi diverse attività come fare il pompiere e il ragazzo delle consegne, fino ad arrivare a quella sorta di anarchia controllata della versione online. In Oriente questa libertà non era costituita propriamente sullo sfasciare tutto, ma dall’interagire con il mondo di gioco, quindi in Shenmue e in Yakuza è tutto un gioca ad Outrun, pesca nel fiume, scommetti sulle gare tra galli. Tutte queste attività non influenzano lo sviluppo trama principale, al massimo il gioco diventa più facile grazie ai bonus ottenuti nelle attività secondarie. L’unico problema per gli sviluppatori è rendere il tutto interessante e mai ripetitivo.

Difficoltà per gli sviluppatori è la libertà di scelta sulle cose importanti, sulla trama, della quale il giocatore deve essere attore e non spettatore. Un qualcosa che accomuna un Peter Molyneux a un Joe Dover.

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Morrowind proponeva una libertà quasi assoluta concedendo anche la possibilità di uccidere personaggi necessari per lo svolgimento della trama, ma a quale costo? Una semplice trasformazione in un GTA fantasy? Scelte inutili dove è possibile diventare leader di quasi tutte le gilde? Limiti arbitrai decisi dalle caratteristiche?

Tante scelte prevedono tante conseguenze spesso non gestibili, poche scelte devono essere differenti tra di loro e avere conseguenze visibili; il giocatore deve essere convinto che le sue scelte contino. Un precario equilibrio comune a tutti i giochi che hanno tentato di puntare sulla libertà di scelta applicata all’aspetto narrativo, che siano visual novel, avventure testuali arcaiche (figlie digitali dei librogame) o avventure alla Telltale.

Le visual novel concedono al giocatore una libertà di scelta nell’interagire con i diversi personaggi, spesso si tratta di scegliere il tono da usare oppure gli argomenti del dialogo; argomenti che si escludono a vicenda, un qualcosa di opposto dalle avventure grafiche occidentali, dove è maggiormente presente la meccanica del “consumare” tutte le opzioni di un dialogo. L’unica conseguenza a lungo termine di questo tipo di libertà è quello di incanalare immediatamente il giocatore verso un particolare finale, se questo è multiplo. Questa non è regola fissa e diversi sviluppatori nipponici hanno provato una loro strada. Si dovrebbero dedicare righe al ruolo di Hiroyuki Kanno e di come costui tentò di rompere gli schemi proprio puntando sul tema della scelta e del bivio: non solo il famoso YU-NO (oggetto di un recente ramake), ma anche esperimenti precedenti come EVE Burst Error e Desire. Abbandonando gli eroge, (sì stavo parlando di eroge), basti pensare anche alla ventennale e casta storia dei Sakura Wars, dove le conseguenze delle scelte del protagonista maschile sono una lieve modifica dei valori di attacco e di difesa delle maidens sul campo di battaglia e solo l’approfondimento delle loro storie personali sul piano narrativo (qualcosa è lievemente cambiato con il quinto e il sesto/shin capitolo, me per ora fermiamoci qui).

Nella sua breve storia la Telltale ha provato a puntare sulla libertà del giocatore nel plasmare la storia con risultati altalenanti. Malissimo in The Walking Dead, dove le scelte avevano solo il fine di suscitare diverse emozioni, principalmente il senso di colpa del giocatore. Tralasciamo poi le riscritture tra un capitolo e l’altro e il vero e proprio meme del dovere salvare uno di due personaggi, dei quali quello salvato scomparirà comunque dalla storia venti minuti dopo. Abbastanza bene in Batman, The Wolf Among Us e Tales from the Borderlands: il giocatore non plasmerà la trama, ma influenzerà i rapporti con i personaggi secondari e le loro piccole storie. Brevemente, in questi titoli si coniugava abbastanza bene l’idea di libertà di scelta presente nelle visual novel con quella presente nei giochi di ruolo.

Per tutti questi casi, questa finta libertà di scelta deve essere equilibrata da un’ottima scrittura che deve immediatamente catturare il giocatore.

Prima di essere un presidente, sono un uomo

Tornando a Suzerain, i suoi punti di forza sono l’ottima scrittura implementata in meccaniche ludiche semplici e l’idea di far coincidere la prospettiva del giocatore con quella del suo protagonista. Il giocatore dovrà effettuare diverse scelte, le cui conseguenze non si rivelano subito, ma lungo il tempo di gioco; conseguenze che influenzeranno il nostro rapporto con gli altri personaggi.

Ovviamente non c’è nessuna magia tecnologica, le scelte da effettuare sono binarie, al massimo ternarie, ma si incrociano tra di loro. Esempio senza rivelare niente del gioco: dobbiamo scegliere tra A e B, successivamente tra C e D; ma A è strettamente collegata a C, e B è strettamente collegata a D; tutte e quattro sono influenzate da una scelta tra E, F, G. Dama che gioca a Sudoku e mangia calcolo combinatorio a colazione saprebbe spiegarlo meglio, ma spero di aver fatto capire la machiavellica abilità degli sviluppatori della Torpor Games.

Ecco perché nelle righe precedenti avevo paragonato Suzerain a Kichikuou Rance. Nella mia misera esperienza solo questo titolo proponeva una meccanica abbastanza simile, inferiore rispetto a Suzerain perché fondata su un numero minore di combinazioni. Similmente Kings of Dragon Pass era fondato su un rapporto tra poche scelte, ma con conseguenze che avvenivano nel lungo termine.

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Kings of Dragon Pass, titolo del lontanissimo 1999, proponeva alcune meccaniche che ritroviamo anche in Suzerain, in particolare l’interfaccia testuale, la presenza di “ministri”, e l’importanza rivestita dal background scelto; ovviamente alle diverse scelte da fare e alle loro conseguenze nel tempo.

In alcuni frangenti è forte l’influenza delle visual novel, quindi le nostre scelte non avranno conseguenze sul gioco, ma approfondiranno diversi aspetti del grande cast di personaggi secondari. Un qualcosa di un’importanza fondamentale in un gioco dove le nostre informazioni sono limitate e la loro conoscenza dipende da fattori soggettivi come i quotidiani o gli altri personaggi. In altri frangenti è forte l’influenza dello stile Telltale, non solo per le conseguenze sul lungo termine delle nostre azioni, ma anche per l’abilità degli autori della Torpor Games di catturare il giocatore attraverso il rapporto tra Anton Rayne e gli altri personaggi, soprattutto presentando questi ultimi con un tono di chiaroscuro, che siano nemici, amici, vecchi gerarchi o la nostra famiglia. I diversi membri del cast di Suzerain sono ben scritti. Ovviamente ben scritti per i canoni videoludici.

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Compadres, è doveroso annientare i combattenti della libertà prima che inizi la stagione delle piogge!

Quando scrissi della demo di Suzerain, affermai che non comprendevo bene il genere dei narrative game, e tuttora non riesco a comprenderlo. Se l’unico presupposto per essere classificato come narrative game è l’attenzione all’aspetto narrativo e all’esperienza del giocatore, dovrei includere la quasi totalità dei giochi in questa classe, perché anche l’ultimo dei rougelike o degli eroge ha un minimo di trama e le nostre azioni ne determinano il percorso verso la conclusione.

Suzerain sicuramente non è un simulatore di governo, o non lo è rispetto ai titoli classificati in tale genere. Troppe sono le differenze, in particolare la diversa percezione del giocatore. Suzerain è qualcosa di originale, un titolo dove noi guideremo prima un uomo e dopo un presidente, circondato da suoi simili con una loro agenda e le proprie idee. Ripeto, nessuna magia videoludica, ma una combinazione tra una buona scrittura, semplici meccaniche di gioco, una buona interfaccia e anche una grafica discreta.

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La Torpor Games ha rilasciato recentemente una patch per Suzerain che prevede non solo la possibilità di personalizzare il ritratto del nostro Anton Ryne, ma anche questa schermata conclusiva di fine mandato. Forse l’immagine più da simulatore di governo.

Se volete provare qualcosa di nuovo, un titolo maturo e ben narrato, vi consiglio Suzerain.

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