Questione di classe

Giada Farrah Fowler
UP SERIES
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8 min readApr 18, 2015
Eton

Michael Apted, 42 UP:
“Il programma intendeva sottolineare
l’aspetto classista della società inglese.
Tu cosa ne pensi?”

  • Andrew Brackfield: “Nella City lavorano persone di successo e ben pagate provenienti da ogni classe sociale. Se dovessi assumere qualcuno, non è qualcosa che prenderei in considerazione. Ritengo che le differenze sociali siano sempre meno importanti”.
  • Suzanne Lusk: “In una certa misura il classismo esiste ancora; vorrei che questo cambiasse, ma non ho idea di come si potrebbe fare. Guarda la famiglia reale: hanno denaro, ricchezza e privilegi… ma che disastro! Non vorrei essere nessuno di loro. Soldi, ricchezza e posizione di prestigio non danno la felicità, né la salute, né niente di simile”.
  • Jacqueline Bassett: “I soldi di sicuro possono dare dei vantaggi, permettere di frequentare scuole migliori o di entrare nello studio legale di qualcuno, ma non so se le classi abbiano ancora tanto potere”.
  • Lyndsay Johnson: “Sì, c’è una società classista, ci sono gli avvantaggiati e gli svantaggiati, ma tra gli avvantaggiati c’è anche chi fallisce”.
  • Susan Davis: “Nel mio lavoro mi capita di incontrare persone provenienti da classi elevate, parlano spesso del loro stile di vita. Tu non potrai mai fare parte del loro ‘giro’, ma chi lo desidera?”.
  • Bruce Balden: “Penso che delle opportunità si presentino a tutti: è chiaro che sono più o meno limitate a seconda dell’ambiente in cui si vive. L’istruzione è una via d’uscita”.
  • Nicholas Hitchon: “Le classi sociali inglesi hanno un modo sottile di proteggersi: se provieni dalla classe operaia non potrai desiderare di fare altro; se provi a fare qualcosa di diverso sarai additato come qualcuno che esce dagli schemi”.
  • Paul Kligerman: “Non credo che qui [in Australia] sia come in Inghilterra, ma le classi ci sono di sicuro, esistono un ceto elevato ed uno basso”.
  • Simon Basterfield: “Ai miei tempi i ragazzi dovevano imparare a stare al loro posto, ma oggi si sono fatti molti progressi; prima ti veniva impedito di andare troppo avanti”.
  • Neil Hughes: “Il classismo odierno si spiega solo con l’ignoranza, se questa può essere ritenuta una giustificazione. Oggi c’è grande comunicazione a livello internazionale, sappiamo come vivono gli altri e quanto sia meglio evitarlo”.
  • Tony Walker: “Molti diranno che le differenze non esistono e che si va avanti per meriti personali. Forse per alcuni è così, ma molti vanno avanti con le spinte in campi in cui altri devono lottare tantissimo. Studiare all’università è più semplice per chi ha un padre che frequenta il circolo giusto”.

Il saggio di Adonis e Pollard A class act, coevo all’ingresso di Tony Blair in qualità di Primo Ministro, sostiene e dimostra che — nonostante l’estendersi della middle classla società britannica è, al 1997, ancora solidamente articolata in classi, più di ogni altra in occidente, come se i principi meritocratici applicati dal lungo governo Thatcher non avessero scalfito il precedente ordine: regole monarchiche ancora in vigore, i seggi dei Pari alla Camera sempre ereditari, un establishment che proviene ancora in larga parte dalle scuole private, la nascita di una superclass, i cui esponenti si distinguono per la facilità di ingresso nelle migliori scuole, il diritto a cure sanitarie di qualità, di un appartamento ben posizionato a Londra con persone al proprio servizio, una residenza secondaria, la serenità nell’affrontare le nuove sfide dell’economia, magari realizzando un matrimonio tra professionisti basato sui larghi redditi di entrambi i coniugi.

Istituzionalmente votato alla conservazione il sistema inglese appare a lenta mobilità sociale, suddiviso da barriere che di giorno in giorno aumentano il divario agli estremi ed induriscono l’identità propria dei due poli.

Al centro della macchina della diseguaglianza c’era proprio l’istruzione, oltre alla casa, sempre più sottomessa alle regole della segregazione residenziale ed alla salute.
Il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca Helmut Schmidt, in visita
ufficiale a Londra nel dicembre 1975 dichiarò:

“Finché conserverete questa vostra dannata società classista non uscirete mai da questo pasticcio”.

Nel suo The State We’re In l’economista politico, giornalista e scrittore Will Hutton ammette:

“In tutto questo libro il tema conduttore è stato il ruolo distruttivo del ‘capitalismo dei gentiluomini’ e il ruolo privilegiato occupato nella società britannica dalla finanza e dai valori finanziari. Tuttavia questi elementi non sono scaturiti dal nulla; si tratta di valori prodotti dalla società e il principale meccanismo di trasmissione è rappresentato dal sistema britannico delle public schools”.

Tutti stereotipi secondo l’economista inglese di origini ungheresi Péter Bauer, creati ad arte ed alimentati da politici, giornalisti ed accademici, che hanno imputato ogni forma di malessere sociale o di avversità economica al sistema di classe.
Se le cose dovessero stare esclusivamente in questo modo, come si spiegherebbero i seguenti casi?

Tutti i nomi e cognomi elencati da Bauer non hanno niente a che fare con la upper class e, nonostante alcuni abbiano potuto contare su un’istruzione eccellente (come Heath e la Thatcher), la stragrande maggioranza è arrivata a colmare solo l’obbligo d’istruzione del tempo in cui ha vissuto.

Proviamo a portare alcune contro-obiezioni: stiamo parlando di persone che hanno vissuto in periodi storici completamente differenti; sono tutti personaggi legati al mondo della politica, ambito che talvolta può agire da ascensore sociale in tempi record, come la musica o lo sport; se fossi chiamata oggi a proseguire la tabella potrei aggiungere anche soltanto le righe relative a Tony Blair, Gordon Brown e, soprattutto, David Cameron per sbilanciare notevolmente il peso del background familiare e culturale e per mostrare come Eton e Oxbridge siano state per innumerevoli altre figure una rampa di lancio per entrare a far parte dell’élite (o per riconfermare la propria appartenenza ad essa).
Alla seconda obiezione, virtualmente, Bauer ha risposto elencando altrettanti nomi di self-made men, “uomini nuovi” partiti da inizi decisamente umili, che in seguito hanno avuto successo nel settore dei trasporti, dell’industria alimentare, dell’elettronica, della chimica, della distribuzione commerciale, dello spettacolo, dell’edilizia, dell’immobiliare, fino ad arrivare all’uomo più ricco del Paese secondo la Sunday Times Rich List 2007, Joseph Lewis, nato nel pub dell’East End di cui il padre era proprietario e diventato uno dei principali azionisti della casa d’aste Christie’s, e a Bernie Eccleston, patron del campionato di Formula 1, figlio di un pescatore del Suffolk.
Vengono citati inoltre i risultati di una serie di studi accademici che mostrano l’elevato grado di mobilità sociale esistente in Gran
Bretagna
, tra i quali quello di David Glass del 1954, quello di John Westergaard del 1975 e la ricerca di Paul Johnson e Howard Reid del 1996.

Con grande ironia il genealogista e giornalista inglese Hugh Massingberd (1946-2007) si collocava a metà, accontentando gli ossessionati dalle suddivisioni di classe con dieci scompartimenti in cui collocare i cittadini britannici:

upper upper, lower upper, upper middle, lower upper middle, middle, upper lower middle, lower middle, lower lower middle, upper working e lower working class

Massingberd dà modo a tutti di sperare, poiché tali scompartimenti “alla maniera spiacevole dei treni moderni” sono intercomunicanti, e si viene continuamente spintonati dalla gente che fa su e giù.

A tal proposito hanno destato grande interesse i risultati del sondaggio commissionato dalla BBC, al quale hanno preso parte 161.458 persone,
presentati ufficialmente a inizio aprile 2013 alla British Sociological Association: le tradizionali divisioni in upper, middle e working class risultano essere ad oggi obsolete, ma non perché sia stato operato un livellamento, anzi la stratificazione si è intensificata, tanto che la popolazione britannica può essere suddivisa oggi in 7 differenti classi.
Un migliore accesso all’istruzione secondaria e universitaria hanno determinato grande fluidità nella parte centrale della “piramide” e la classe alla quale una persona appartiene non dipende più soltanto dall’impiego, dalla ricchezza e dal livello di istruzione, ma ha anche una dimensione economica (che comprende reddito, risparmi, valore del patrimonio immobiliare), sociale (numero e status di amici e conoscenti) e culturale (non solo il titolo di studio conseguito ma anche interessi e attività culturali svolte).

Questa la nuova suddivisione:
1) l’élite, 6% della popolazione, età media 57 anni, è il gruppo privilegiato, al top in tutte e tre le dimensioni, tra belle case, buone e vaste amicizie e approfonditi e qualificati interessi culturali;
2) la borghesia consolidata (established middle class), un gruppo consistente che ha un punteggio elevato in tutte e tre le dimensioni, ben messo per beni e conoscenze (25% della popolazione, età media 46 anni);
3) la borghesia tecnica (technical middle class), 6% della popolazione, età media 52 anni, è un nuovo gruppo che conta sulla prosperità economica, ma resta fuori dai riti dei benestanti classici, segnata com’è da una marcata apatia culturale e da un netto isolamento sociale;
4) i lavoratori benestanti (new affluent workers), 15% della popolazione, età media 44 anni, una classe di persone abbastanza giovani, in traiettoria ascendente, molto attive sia sul fronte sociale che culturale, fascia interessante perché non si autopercepisce più come classe media o lavoratrice;
5) la classe lavoratrice tradizionale (traditional working class), gruppo che tende a essere più avanti con l’età (66 anni di media, 14% della popolazione), con un punteggio basso in tutte e tre le categorie, ma che possiede spesso case di ragionevole valore;
6) i lavoratori emergenti nel settore dei servizi (emergent service workers), 19%, età media 34, sono un nuovo gruppo urbano con poche risorse economiche ma un elevato livello sociale e culturale;
7) il proletariato precario (precariat), che rappresenta circa il 15% della popolazione, con un’età media di 50 anni, vive nelle peggiori condizioni ed è in fondo alla classifica per condizioni economiche, sociali e culturali.

Sull’ultimo gradino siedono gli abitanti dei quartieri meno privilegiati, spesso stigmatizzati e considerati unici responsabili della loro situazione, gli immigrati, la “muta di orfani selvaggi che bazzica i quartieri poveri” che Richard Littlejohn, giornalista del Daily Mail suggerisce di uccidere “a colpi di manganello, come i cuccioli di foca”, quelli che hanno sconvolto il torrido agosto del 2011 a Tottenham, Londra, Chelsea, Brixton, Birmingham, Liverpool, Manchester, Leeds, Nottingham, Salford, West Bromwich, Wolverhampton, Portsmouth.

Jean de La Fontaine, “Gli animali ammalati di peste” in: Le favole di La Fontaine, trad. in versi di Emilio De Marchi, illust. di Gustave Doré, Milano, Sonzogno, 1889 (INDIRE-Fondo libri e periodici di Letteratura giovanile)

Gli “animali ammalati di peste” hanno mostrato al Paese che la miccia del disagio sociale ha una lunghezza determinata, i volgari ignoranti alcolizzati chavs delle classi popolari, il residuo superfluo, senza un lavoro da difendere, una carriera da costruire, senza futuro, con i loro bambini, nella migliore delle ipotesi parcheggiati a scuola fino alla conclusione dell’obbligo.
Quando David Cameron parla di Broken Britain descrive queste ed altre realtà da riparare celermente, da analizzare in modo onesto.
Considerare gli eventi dell’agosto 2011 solo come il risultato di scelte individuali da parte dei giovani o della mancanza di controllo dei loro genitori, indirizzando ulteriore disprezzo verso le classi deboli è un esercizio miope che non tiene conto delle sfide del futuro: tra queste un ulteriore rapido incremento demografico che vedrà il Regno Unito superare i 70 milioni di abitanti nel 2026 con tre anni di anticipo sul previsto.

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Giada Farrah Fowler
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Opinion leader, socia Aci, trascrittrice braille, testimone oculare, insegnante di cockney. Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.